Testo e foto di Alfredo Felleti


I Makishi rappresentano  lo spirito degli antenati attraverso le maschere.
E’ forte l’emozione al primo incontro, con questa sorta di guerrieri, che rappresentano i defunti e ri-nati a nuova vita, con un compito speciale: rapire i bambini dai loro villaggi e dalle famiglie, per farne giovani uomini, o donne, forgiati alle intemperie della vita. Questo è infatti, ciò che la tradizione richiede.
Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta non è indolore. Sei mesi prima, infatti, del grande evento, che coinvolge tutto il popolo dei Luvale in Zambia, ragazzine e ragazzini di età compresa tra i dieci e dodici anni, vengono prelevati, con il consenso dei famigliari dalle loro case, ed addestrati, dai guerrieri Makishi, sorta di maestri di vita, in un posto misterioso chiamato “Mucanda”, all’interno della foresta. Durante questo “ritiro spirituale” i giovani imparano, per gradi, ad affrontare le difficoltà che la vita spesso pone, non ultimo in Africa, il problema di procacciarsi il cibo, anche con sistemi tradizionali, come il tiro con l’arco. Una scuola di sopravvivenza, ma anche un modo per tramandare alle nuove generazioni, le tradizioni orali del popolo Luvale.
Durante la grande festa che si svolge ogni anno nel mese di Agosto, nella località di Zambesi, lungo il fiume omonimo, l’esercito delle maschere dei Makishi, ovvero gli “spiriti dei defunti” reincarnatisi negli adepti, aprono la grandiosa processione.


La cerimonia, seguita da migliaia di persone, parte dal piccolo cimitero di Zambesi, dove tra le tombe, gli spiriti degli antenati si agitano, ed i guerrieri Makishi prendono vita. Popolazione e guerrieri, tutti insieme, sfileranno per le vie del centro cittadino, ballando e cantando, festeggiando il ritorno in vita anche dei bambini “rapiti” mesi prima. Una festa della durata di una settimana, in cui si susseguono, nelle diverse giornate, le esibizioni di gruppi tradizionali di ballo e canto, nelle diverse località lungo il fiume e dove si mangia, tutti insieme, cibo tradizionale. Ad ogni ora del giorno si sentono suonare ossessivamente i tamburi e si ha la possibilità di rinsaldare i legami famigliari, incontrando lontani parenti, che provengono dall’Angola o dal Congo (paesi di provenienza del popolo Luvale).
“Parla di noi” e delle nostre “Tradizioni” mi sento dire spesso, dalle persone presenti e che mi cedono il posto nelle prime file, per permettermi di assistere e fotografare meglio le esibizioni dei vari artisti. Settantamila persone e forse più, pronte a divertirsi, a scatenarsi in balli e danze collettivi.
Così per cinque giorni consecutivi si vive all’aperto, a contatto con la natura, sulle rive di questo meraviglioso fiume che è lo Zambesi, dove le canoe fluttuano, cariche di pellegrini, che fanno la spola da una riva all’altra.
Gente che va, gente che viene, solo per testimoniare la presenza ad un grande ed antico, imperdibile evento. Poi l’ultimo giorno, alla presenza del Re dei Luvale, Senior Chief Ndungo VIII, avviene l’apertura della reggia, luogo di residenza ufficiale del Sovrano. Il Re dopo aver assistito agli atti di devozione del suo popolo, all’esibizione di canti e danze, proclama chiusa la cerimonia del Likumbi Lya Mize, letteralmente “Il giorno della Reggia” in lingua Luvale, invitando, dignitari, capi e rappresentanti delle varie tribù, nella sua casa per una cena di commiato.

Alfredo Felletti (Aprile 2018)
www.fotofelletti.com