Testo e foto di Isabella Mancini

Meno di un chilometro quadrato. Il quartiere ebraico di Amsterdam è un quartiere nuovo e antico assieme. Nuovo perché fu quasi totalmente distrutto durante la seconda guerra mondiale. Antico perché conserva ancora oggi tracce di quella che era la comunità ebraica della città. I primi ebrei erano profughi, scappavano dalle persecuzioni della Spagna e del Portogallo (dalla fine del 1500) e qualche decennio più tardi si unirono loro anche gli altri profughi, quelli che arrivavano dall’Europa orientale. Tra il 1602 e il 1675 furono costruite 4 sinagoghe. Di queste rimane attiva, oggi, solo la Sinagoga Portoghese mentre le altre ashkenazite ospitano il Museo Storico Ebraico.
Siamo a due passi dal mercato delle pulci in Waterlooplein e il Jodenbuurt si estende ancora fino a Nieuwmarkt e Weesperplein.
Dal 1985 in poi il mercato riconquista un po’ del suo antico richiamo ed oggi è meta di viaggiatori e turisti.
La sinagoga è un vero e proprio tesoro: costruita alla fine del 1600 oggi ospita, grazie alla caparbietà e alla resistenza di molti membri della comunità ebraica di Amsterdam, arredi originali e suppellettili d’oro e d’argento. Ma la sua luce deriva dalle centinaia di candele con cui viene illuminata così come vuole la tradizione e dall’incredibile libreria, la Ets Hai Library. Trentamila libri stampati dal 1484 e più di 500 manoscritti che risalgono addirittura al 1282: un disegno storico della cultura sefardita attraverso i secoli che riporta addietro fino alle radici spagnole. Questo incredibile numero di documenti fu arricchito da una importantissima donazione avvenuta nel 1889 da parte del libraio dell’epoca, David Montezinos.

Se già in questi ambienti si respirano i venti della storia che ha travolto questa comunità durante la Seconda Guerra Mondiale è al Memoriale Nazionale dell’Olocausto che si può comprendere appieno la dimensione di questo scempio. Il memoriale si trova in quello che era il teatro del quartiere trasformato in campo di concentramento dagli occupanti tedeschi nel 1942. Per un anno fu utilizzato come centro di deportazione, fino al novembre del 1943. Tutti gli ebrei della città si dovevano presentare qui per essere registrati e poi venivano deportati nei campi di transito di Westerbork e Vught per poi essere indirizzati ai campi di sterminio.
Il quartiere, come già detto, era stato in gran parte demolito durante la guerra e fino al 1962 la città di Amsterdam non prese una decisione precisa sulla sorte di questa struttura. Fu deciso di erigere un memoriale: sulla parete di sinistra, appena oltre l’ingresso, su una parete sono riportati i 6700 cognomi dei 104.000 ebrei olandesi uccisi. Quelle che un tempo erano la sala e il palco furono abbattute e al loro posto si trova un cortile disadorno al cui centro si erige un obelisco.

La Storia è una Cassandra inascoltata ma è in luoghi come questi che il filo comune di umanità, che ha portato all’affermazione di principi come quelli dichiarati nelle carte dei diritti umani, si rianima e trova il minimo comune denominatore della nostra specie.