Testo e foto di Diego Cupolo.

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La Cappadocia combina storia e geologia come nessun altro luogo al mondo. Antiche civiltà, per più di 8000 anni, hanno prosperato in questo paesaggio desertico e arido, con il suo labirinto di città sotterranee e formazioni rocciose multicolori che salgono a spirale verso il cielo.

Ben nota come un rifugio per il Cristianesimo prima che esso fosse pienamente accettato, la Cappadocia divenne un rifugio per i primi credenti che scapparono dalle persecuzioni romane del IV secolo d.C. Nei successivi 600 anni, questi abitanti avrebbero impresso le tracce più notevoli sul paesaggio della regione, scavando le loro case e chiese nelle morbide pareti rocciose del canyon, creando i c.d. “camini delle fate” e costruendo inimmaginabili e complessi alveari di umanità.

Osservando il panorama della Cappadocia, è facile immaginare George Lucas che prende appunti sulla regione prima di inventare la sua “galassia lontana, lontana..”. Tranquilli, la Cappadocia non è fantascienza. È qui, sul pianeta Terra, ed è abbastanza facile da raggiungere per chiunque desideri tuffarsi nel cuore della regione turca dell’Anatolia.

Il turismo è esploso nell’area a partire dagli anni ’80, e insieme a pacchetti di tour in pullman tutto compreso, i viaggiatori possono ancora affittarsi un mezzo e crearsi avventure “fai da te” uniche nel loro genere in questa terra di antichità surreale.

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Quasi tutte le avventure iniziano a Göreme, una piccola città incuneata tra gli imponenti camini di fata e localizzata vicino alla maggior parte delle attrazioni principali.

Una destinazione popolare, Göreme è il luogo più semplice dal quale partire all’alba per un tour in mongolfiera, un’esperienza da “una volta nella vita” che costa circa 150 euro a persona.

Qui, i visitatori possono anche trovare un’ampia selezione di veicoli affittabili, da quad “dune buggy” 4×4, scooter Vespa e decapottabili Mustang degli anni ’70. In sostanza, qualsiasi mezzo tu riesca a immaginare, a Göreme lo troverai.

Essendo in viaggio da lungo tempo e con un tetto di spesa da rispettare, Ania e io abbiamo scelto delle mountain bike con una spesa più abbordabile di 15 euro al giorno. Per una strana ragione, le bici ci sono arrivate insieme a una femmina di pastore tedesco smarrita, che ci avrebbe tenuto compagnia durante la nostra permanenza. L’abbiamo chiamata Efes.

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C’è molto da vedere a Göreme e nei dintorni, così ci siamo mossi velocemente. Nei primi 45 minuti dopo il nostro arrivo abbiamo montato la nostra tenda al campeggio Dilek, abbiamo mangiato panini con feta e siamo usciti dalla città per il nostro primo giro in bici.

Con Efes che ci seguiva lentamente, siamo saliti su una piccola montagna subito sopra Göreme per avere una vista del panorama. Secondo uno dei molti depliant per turisti che avevo in tasca allora, il paesaggio della Cappadocia si è formato a causa dell’erosione di depositi lavici e basaltici dovuti a millenni di terremoti e tempeste di pioggia.

Lo strato superiore di basalto era costituito in prevalenza da cenere vulcanica che si è solidificata in una superficie morbida, malleabile, che ha quasi invitato i primi abitanti dell’area a ricavarne abitazioni lungo i lati della montagna e sotto terra.

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Sulla cima della montagna Ania e io abbiamo deciso di prendere una bottiglia di vino mentre il sole iniziava a tramontare sopra Göreme. Parlando con un uomo in una piccola drogheria, gli abbiamo chiesto che cosa significhi Cappadocia.

“In origine la Cappadocia era chiamata ‘Katpatukya’ che significa ‘Terra dei beli cavalli,’” ci ha spiegato prima di farci pagare 5 euro per una bottiglia di decente vino locale.

Ania e io abbiamo bevuto su una falesia, mangiando albicocche fresche raccolte dagli alberi mentre l’altopiano desertico diventava viola come le nostre labbra. Avevamo bisogno di essere ben riposati per il giorno seguente.

L’alba a Göreme è una sinfonia di fiamme ossidriche mentre centinaia di mongolfiere si innalzano leggere nei cieli arancioni. Sotto queste ondeggianti sfere arcobaleno, Ania e io abbiamo iniziato il nostro giro tragitto in bici verso Çavuşin e Ürgüp. Efes, nostra fedele compagna, ha dormito fuori dalla tenda e ci ha seguito per tutti i 65 chilometri, trotterellando sempre dietro di noi che pedalavamo attraverso il paesaggio della Cappadocia.

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Subito a nord di  Göreme, la nostra prima sosta è stata Çavuşin, una città simile a un favo scavata dentro un crinale montuoso. Vi siamo arrivati prima di tutti gli altri e abbiamo goduto del luogo da soli, non disturbati dai gruppi turistici e dai venditori di souvenir.

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Mai prima di allora avevamo visto siti archeologici che permettono ai visitatori di salire come gli pare e piace dentro le antiche abitazioni e abbiamo sfruttato al massimo questa possibilità, esplorando ogni chiesa e ogni colombaio senza risparmiarci.

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Çavuşin è nota soprattutto per la chiesa di S. Giovanni, una delle più antiche e grandi chiese rupestri della regione, risalente al V secolo d.C. Nel lato nord della città c’è un simpatico trio di “minareti” tappati da massi giganti e, verso ovest, un piccolo gruppo di grotte isolate rivolte verso l’altopiano.

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Dopo, abbiamo attraversato le valli Zelve e Deverent, dove le formazioni rocciose naturali giocano con l’immaginazione, creando mani e animali di pietra che sorgono dal paesaggio desertico, invitando i pullmann turistici a fermarsi ogni 20 minuti, così che i turisti possano farsi fotografare davanti a rocce di basalto a forma di cammello.

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Ci è stato detto che c’erano cose belle da vedere anche a Ürgüp, ma a quel punto Efes era ormai mezza morta per aver corso nel caldo pomeriggio e il nostro obiettivo principale era trovare dell’acqua per il povero cane.

Sulla strada del ritorno da Ürgüp a Göreme, siamo saliti in cima a una piccola montagna sulla sommità della quale una bandiera gigante della Turchia è stata messa accanto ai due più alti minareti di pietra. L’area era affollata di turisti e venditori di souvenir così abbiamo continuato verso Göreme per raggiungere quella che è, forse, la principale attrazione della regione.

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Il museo a cielo aperto di Göreme, subito fuori dalla città, è la comunità monastica più visitata in Cappadocia. Un fitto complesso di caverne e antiche abitazioni, l’area contiene più di 30 chiese e cappelle, alcune delle quali con affreschi ben conservati di età bizantina, datati tra il nono e l’undicesimo secolo.

Sfortunatamente, il nostro tempo di affitto delle bici stava scadendo ed Efes aveva bisogno di un sonnellino, così Ania e io siamo usciti dal museo a cielo aperto, lasciandolo per dopo. Eravamo entrati e usciti da grotte per tutto il giorno nelle zone meno frequentate e ci sentivamo soddisfatti delle nostre esplorazioni sotterranee. Era arrivata l’ora di visitare le città sotterranee della Cappadocia.

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Ci sono più di 200 città sotterranee in Cappadocia, le più grandi sono Kaymaklı e Derinkuyu.

Derinkuyu è posta su livelli multipli per una profondità di circa 60 metri. Gli archeologi dicono che la città era grande abbastanza per contenere 20000 persone più il loro bestiame e le scorte di cibo. Costruita la prima volta dai Frigi nei secolo VII-VIII a.C, Derinkuyu si è espansa nella forma attuale durante l’era bizantina.

Percorrendo questi lunghi e claustrofobici tunnel e scale sotto terra, ognuno troverà le attrattive tipiche di una città normale. Ci sono stalle vicino all’ingresso, cantine-magazzini, sale di riunione, cappelle e persino vinerie sotterranee. Dopo tutto, le persone non possono privarsi dei piaceri nei tempi di invasione.

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Grandi porte di pietra furono progettate per chiudere ogni piano in caso di intrusione esterne e miglia di stretti tunnel furono scavati per connettere una con l’altra le città sotterranee, offrendo agli abitanti vie di fuga nel caso di assedi prolungati.

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Per concludere, non posso non menzionare che sopra la terra, Derinkuyu ospita un pugno di negozi davvero antichi con rari tesori anatolici, e dove un uomo gentile ha venduto ad Ania due anelli di giada grandi come quelli di un sultano. È stata la nostra ultima sosta prima di dare a Efes un barattolo di hot-dog rosa fluorescente e saltare su un bus diretto ad Antalya.

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Nonostante gli sforzi dei cristiani nascosti e dell’impero bizantino, la Cappadocia fu invasa, tra nono e undicesimo secolo, dalle tribù nomadi turche provenienti dall’Asia Centrale. Alla fine i mussulmani Selgiuchidi conquistarono l’Anatolia, spingendo i cristiani a ovest, nella moderna città di Istanbul. I Bizantini continuarono a soffrire gravi perdite, e non riuscirono mai più a riconquistare i territori che una volta erano serviti da incubatrici per la religione dominante del mondo occidentale.

Guardando la Cappadocia dall’alto, una sfilata senza fine di minareti di roccia e di città verticali ad alveare, ci si trova faccia a faccia con le origini di una società, con la sua volontà di proteggere credenze sacre e con la sua abilità nel sopravvivere in questo paesaggio tinto di rosa come quelli di Marte. In qualche luogo tra queste bizzarre formazioni geologiche, nascosto tra i canyon e sotto terra, si può vedere sino a dove gli uomini sono arrivati e fino a che punto preserveranno le loro culture, incuranti delle forze avverse. Se questo non è degno di una visita in Cappadocia, che cosa lo è?

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Diego Cupolo è un giornalista indipendente, fotografo e autore di Seven Syrians: War Accounts From Syrian Refugees. Ha lavorato come editore per l’Amerina Latina per il Global South Development Magazine e come giornalista freelance si occupa di questioni internazionali; ha scritto su Siria, Turchia, Bulgaria, Nicaragua, Perù, Argentina e Cile. Suoi articoli e foto sono apparsi su The New Yorker, The Atlantic, Associated Press, The Village Voice, The Australian Times, Discover Magazine, UpsideDownWorld.org e Diagonal Periódico.

www.diegocupolo.com.

Questo articolo (Freewheelin’ in Cappadocia),  è uscito su http://www.theexpeditioner.com/feature-article-turkey-/Freewheelin-in-Cappadocia

Traduzione di Valentina Cabiale