Testo e foto di Veronica Giossi

Non è mai facile partire dalla propria città. Ed in effetti è uno strano viaggio quello si fa quando si attraversano luoghi conosciuti dalla nascita e raccontati più e più volte dai familiari più anziani. E’ un viaggio dentro ad un altro viaggio. Non ho quindi molti scatti di Bergamo, e ho cominciato a fotografarla tardi, il più delle volte solo per esercizio, per provare la macchina, e tuttora ho qualche difficoltà a farlo con una certa serietà ed intenzione.

Ma forse il fatto è che ormai i familiari più in là con l’età non ci sono più e devo fare piacevolmente i conti col fatto che ora sono io quel parente adulto da cui si aspetterebbe il racconto, ed in fondo anche i fantasmi del passato si diradano prima o poi o forse è che il confronto con la me stessa di oggi non è poi più così spaventoso, e quindi eccola qui la città in cui sono nata e da cui mi sono allontanata e riavvicinata più volte.

Città alta ovviamente viene considerata il suo cuore, più per aspetti turistici e di marketing che non per una realtà oggettiva, ma in fondo io lo preferisco così, è un cuore che a volte si sposta di lato, in un angolo, a volte tace, e a volte ritorna alla ribalta. E’ una cittadella fortificata, benché già all’epoca della Repubblica Veneta non si mostrò mai come tale, è arroccata, spesso l’ho trovata asfissiante per via delle sue stradine strette e lunghe tipicamente medievali, umide in inverno, fresche e sorprendentemente ventilate d’estate.

Ho vissuto città alta soprattutto nel periodo universitario, so cosa vuol dire salire a passo svelto tra le sue vie mentre la città nella città si sveglia, sono scesa sottoterra dove si trovavano degli archivi della biblioteca della mia facoltà, perdendo il senso del tempo e dello spazio, del sopra e del sotto, ritornando all’aria aperta e alla luce con la speranza di trovare le cose differenti. Le sue mura non sono più muri, anche se a volte per chi ne ha bisogno offrono ancora oggi riparo, sono un modo per vedere un po’ più in là, sono un confine su cui stare a cavalcioni senza più l’obbligo di stare dentro o fuori.