Testo e fotografie di Michele Agostini

Mae Sai cittadina sul confine tra Thailandia e Myanmar. C’è ancora adrenalina e frenesia delle autentiche zone di frontiera. A due passi l’inesplorato ed immenso Myanmar, una fetta di Asia da visitare al più presto prima che la  pesante carezza occidentale inizi a spolverare rituali e tradizioni per farne cibo da turismo di massa.
Quante storie, quanti contrabbandi, quante speranze riempiono l’aria di Mae Sai, con venditori di ogni mercanzia, colori e fisionomie tutte uguali e tutte diverse, scavate dalla vita, quella che si presenta ogni giorno con il
conto in mano. Fascino polveroso di uno spettacolo che si ripete ogni giorno, il brulicante viavai di un confine, di un limite, estremo contro estremo.
Metafora della vita, quella vera, quella che evita il “tutto incluso” per il brivido dell’imprevisto, quella che ama l’errore perchè fa crescere ed alimenta l’esperienza. Mae Sai si presenta disordinata, con camion carichi di scatoloni e pacchi misteriosi, con donne e uomini vestiti di stracci o di marche improbabili, indossate a caso, per esistere, per respirare un po di occidente, un modello inseguito dalla massa, per fare parte della banda, e chi se ne frega se inquina e disperde energie.
La modernità preme alle frontiere di Myanmar, appena al di la del fiume Ruak. Quella modernità del cellulare ultrapiatto con la ciotola di riso nell’altra mano, quella che presto o tardi luciderà via l’autenticità di questo angolo di mondo. Ma non stancatevi di viaggiare, di scoprire e di custodire nei vostri ricordi brandelli di vita e di frontiere.

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