Cartolina di Federica Brenna

A soli 16 Km da Monaco di Baviera si trova Dachau. Dachau è un piccolo paese bavarese reso famoso per una fabbrica di munizioni in disuso che nel 1933 viene trasformata in campo di concentramento e dal quale, dalla sua apertura fino alla sua chiusura, transitarono circa 200.000 persone. E’ il primo campo di concentramento aperto durante il Reich. Il primo di una lunga serie.
Prendiamo la linea verde della metropolitana in direzione Hacker-bruecke/Petershausen. Sul treno che prosegue verso nord-ovest osservo incuriosita un’anziana signora che guarda il paesaggio fuori dal finestrino. Penso che forse lei la guerra l’ha vissuta davvero, che forse lei le atrocità commesse dai nazisti le ha viste davvero. Lei, come tanti della sua età, sono testimoni di una realtà che non va dimenticata, rappresentante di una generazione che ahimè ci sta pian piano abbandonando. Chissà se saremo in grado di raccontare le loro storie, se saremo in grado di insegnare alle nuove generazioni il loro passato.. Per non sbagliare più nel futuro.
L’ingresso al campo è già di per sè inquietante: la scritta bugiarda sul cancello in ferro battuto “ARBEIT MACTH FREI” mi spaventa. A poca distanza si trovano i resti dei binari sui quali transitavano i treni carichi di schiavi destinati alla morte. Come è possibile che tutto ciò sia realmente successo? Più ci penso più mi sembra irreale, impossibile. Eppure la realtà, il passato, è sotto ai miei occhi.

Una volta varcato il cancello, si apre un ampio cortile impolverato: è qui che avveniva la raccolta dei prigionieri, la loro conta, al mattino e poi anche alla sera; è qui che venivano inflitte pubblicamente le punizioni corporali. Da qui i detenuti partivano marciando per recarsi verso i “posti di lavoro”. Sulla destra si trova l’economato, sul quale tetto era riportata un’altra beffarda scritta ora non più leggibile: esiste una via che conduce alla libertà. Le sue pietre miliari si chiamano: obbedienza, lavoro, onestà, ordine, pulizia, sobrietà, sincerità, spirito di sacrificio e amor patrio. Il campo è interamente circondato da un fossato e uno spessissimo strato di filo spinato che rendeva impossibile l’evasione. Delle 34 baracche divise in due file da un lungo viale alberato, non rimane che le loro fondamenta. Solo un paio di loro sono state ricostruite per raccontare il più realisticamente possibile le durissime condizioni di vita in cui vivevano i prigionieri: stanzoni contenenti una quantità indefinita di letti a castello dalle dimensioni esigue.
Appena fuori dal campo, in una finta e bella villetta in stile bavarese dal quale si innalza un minaccioso camino, si trovano i forni crematori. Pensare che tutto ciò sia stato costruito dagli uomini per uccidere altri uomini mi fa accapponare la pelle. Che cos’è l’uomo? Come può un uomo fare tutto questo a un suo simile? Entro in una stanza buia, che ha bocchettoni sul soffitto e tutto intorno sulle pareti e capisco immediatamente di essere in una camera a gas, realizzata per gli stermini di massa: in realtà questa non è mai entrata in funzione a causa dei sabotaggi dei prigionieri che la stavano costruendo.
Quando gli americani liberarono il campo, i prigionieri avevano raggiunto un numero di 30.000 circa, mentre la capienza massima avrebbe dovuto essere di 5.000 persone. Pazzesco e assurdo sono le parole che contino a ripetermi osservando ciò che mi circonda. Mai ero stata in un campo di concentramento finora. Conoscevo la storia dai documentari visti alla TV e dai libri di scuola, ma mai mi si era presentata così, tangibile.

DSCF3738(1)
Torniamo così nella bella città di Monaco che in questo periodo dell’anno è illuminata e addobbata a festa per la ricorrenza del Natale… Le musiche, le luci, la gente in festa ci portano lontano da Dachau e da tutta la storia che questo luogo porta con sè, che ora non sembra che un lontano e surreale ricordo in bianco e nero.