Testo e fotografie di Francesco Faraci

Vivendo mostrando i fianchi al mare, respirandone l’odore, lasciandomi cullare dal suono delle onde ho sempre avuto l’impulso di fuggire. Lontano, il più possibile. Per non ritornare mai più.

Poi ho capito; si può viaggiare tenendo i piedi ancorati alle proprie radici, che loro, sanno chi siamo, sanno anche dove potenzialmente possiamo arrivare a patto però, di non dimenticare la storia.

Così la Sicilia, Palermo in particolare, col tempo è divenuta il mio principale punto d’osservazione, la mia porta sui tempi e sul mondo. Affinando il sentire e la vista penetro l’oscurità dell’oscurità, cercando una luce, un sentiero per uscirne, mischiando dolore e meraviglia, accettando la miseria come alternativa forma di bellezza.

Perché vedere e sentire non rimangano che parole vuote, bisogna anche avere il coraggio di spendere parole, anche dure, di disperata denuncia, catalizzare la rabbia in forza costruttrice di un nuovo possibile e immaginabile futuro.

Il mio è un viaggio senza scadenza ma anche un ritorno nei luoghi che mi hanno visto prima infante, poi ragazzo, adesso quasi adulto, e scoprire attraverso la forza dei ricordi cosa è cambiato, come, perché, analizzando e analizzandomi senza alcuna velleità profetica.

Frequentando i bassifondi ho scoperto l’umanità e la voglia di riscatto, ho scoperto il silenzio negli occhi, la sconfitta e la sventura. Ho sentito storie d’abbandono e di violenza, sono un testimone, un mezzo, e in quanto tale non esulo dal mio compito, quello di raccontare la mia realtà. E’ conoscendo “l’altro” che scopro anche me stesso. In questi tempi intrisi di relativismo non rimane che una cosa da fare, forse la più difficile ma anche la più necessaria.

Tornare ad essere umani.

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