Di Andrea Semplici

Beirut, alla vigilia di ferragosto.
Corniche. Lungo cammino, fra il mare, le palme, il traffico, i palazzi, le arditezze degli intrecci di Zaha Hadid. La ruota del Luna Park, autoscontro, gelati, giostre, piccole felicità. Perfino il guardiano dai muscoli forti ha un’aria sorridente. Donne velate sedute fra le rocce del Mediterraneo, un’aria di allegria. ‘Non fare il bagno lì’, mi consigliano gli expà. Per loro, bisogna fare chilometri per andare al mare. Ma qui ci sono pescatori, uomini immensi che giocano con i figli danzanti sulle loro pancia, forzati delle abbronzature, donne fra di loro, ombrelloni. Si va in riva al mare con il narghilè e il tavolino per giocare a carte. Si va nei bar sospesi sull’acqua a bere lunghi caffè. I ragazzi si sorridono, si sfiorano. Vi sono frammenti di felicità. Gli uomini a torso nudo, dalle pance massicce, camminano con passo da atleti sul lungomare. Si versano acqua addosso e la loro pelle pelosa risplende nel sole sbiancato del Mediterraneo.

A notte, mi arrampico al quinto piano di una palazzina. Amici italiani (anzi lucani), amici siriani. Grande terrazza. Birra Almaz. Divani da ragazzi, spaghetti. Mi piace questa casa. E il quartiere di Geitawi cerca le sue luci. Poi la città si scompone, risale le colline, si arrampica sulle montagne, i lampioni pubblici non si accendono, le strade hanno solo la luce dei grandi cartelloni pubblicitari, una Blade Runner mediterranea, i neon dei negozi, le finestre delle case aperte, la luna sopra Beirut.