Testo e foto di Andrea Semplici

Le carovane del sale marciano sull’asfalto che già raggiunge Ahmed Ela. Marciano sulla pista dell’air-strip delle compagnie minerarie. Oggi, gli arotthai, i carovanieri, sono costretti a vendere il sale al mercato all’ingrosso di Berhale, grande villaggio della scarpata. Non possono più raggiungere i mercati dei villaggi dell’altopiano. Le carovane resisteranno alla modernità?

All’alba tre uomini, a venti metri dalla nostra capanna, accendono piccoli fuochi con la cacca degli asini. Hanno portato tizzoni di brace dalle loro capanne. Per ore e ore batteranno sulle lame delle godmà, le piccole e pesanti accette con le quali si scolpiscono i mattoni di sale. Il  calore serve ad ammorbidire il ferro. Cercano di affilare gli strumenti del loro lavoro. Gli arrotini sono artigiani specializzati.

Dallol è lì. All’orizzonte. Un isolotto nella Piana del Sale. Dallol sta lì con la sua meraviglia. Oggi ha deciso di donare tranquillità. Si sale senza fatica. Si può camminare a lungo senza dar conto all’ostilità del caldo. Un po’ di vento per rendere più tollerabile temperature altrimenti insopportabili. I fiori di sale, i pani, i funghetti, i geyser, i laghetti verde giada, l’arlecchino delle zolfo. Tutto è al loro posto. Immutabile.  E sempre diverso. Come vorrei che questo posto si facesse beffe di tutti noi.

Il vento della Dancalia muove le acque del lago As Sale. Al mattino migra verso Sud, al pomeriggio comincia il suo viaggio quotidiano verso Nord. Lago migrante. Il sole si specchia sul velo della sua acqua. Io compio un rito abituale: sto immobile a mezzo metro dalla sua sponda mobile e aspetto che la piccola marea raggiunga le mie scarpe.

Oggi pompe potenti ne drenano le acque per nuove saline industriali.

Dini mi paga una coca al nuovo bar di Ahmed Ela. Greta mi paga la birra al bar dell’università a Firenze. Una sensazione indefinibile gira sulla mia pelle.

Una strana scultura è sulla sponda di As Bole, ‘il luogo della pietra rossa’, il villaggio all’inizio del canyon del fiume Saba. Incastro di legni. Rami che provano a diventare monumento. Poi osservo, con stupore, che Alì vi sale sopra, tende il braccio verso il cielo e cerca di afferrare ‘il campo’. Ha un cellulare in mano. Lo alza nella speranza di catturare un refolo di linea. Per gli afar è importante parlare con la famiglia. Hanno capito subito il miracolo della telefonia mobile. La strana scultura sta a dire che lì, quasi al centro del villaggio, ‘c’è campo’. C’è ‘campo’ in mezzo agli ultimi contrafforti dell’altopiano, là dove la Piana del Sale comincia e le acque del Saba regalano un’ultima fertilità. Questa è tecnologia di Dancalia.

I cellulari sono cinesi, i Thecno sono assemblati a Bar Dahr. Se hai mille birr puoi permetterti un Nokia.

Le donne afar quando sanno che l’uomo chiederà di fare all’amore accendono un piccolo fuoco in una buca. Mettono un bastone, stanno in equilibrio sulle braci dove hanno messo incenso. Si improfumano di legno e buono odore. L’uomo aspetta nella capanna.

 

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