Testo di Claudio Simbolotti e foto di Giuliano Guida

Popoli è una vera e propria cittadina, è stata una casualità fermarsi a dormire qui e scoprire comunque un luogo tranquillo e grazioso. Carolina è pronta a ripartire per visitare altri piccoli e abbandonati centri. Vasti appezzamenti di olivi ci danno l’impressione di essere nelle Puglie ma poi la Majella che svetta maestosa in lontananza ci porta alla realtà. Attraversiamo qualche piccolo abitato e la nostra signorina continua a mietere vittime, il suo fascino non passa inosservato.

La SR 487 si dipana attraverso il Parco Nazionale della Majella, procediamo spediti verso sud, il grande massiccio calcareo costantemente alla nostra sinistra, una folta e rigogliosa flora distribuita lungo le varie pendici, terra selvaggia di lupi ed orsi.

Superiamo abbastanza velocemente Caramanico Terme e Sant’Eufemia a Maiella, porte di ingresso al parco, per poi svoltare e procedere alla volta di Roccacaramanico. L’incantevole borgo medievale sorge a 1100 metri e domina incontrastato l’intera valle sottostante, un cartello in legno con su scritto il nome e poi la dicitura “il paese è piccolo, spegni l’auto e vai a piedi” ci danno il benvenuto in questo splendido angolo di paradiso. Lasciamo Carolina nel parcheggio di fronte il particolare Museo Etnografico sulla cultura del lavoro in montagna e, come suggerito, proseguiamo l’esplorazione con le nostre gambe. L’associazione Roccacaramanico che si impegna a salvare il piccolo borgo dalla decadenza e per promuoverne la rinascita , ha sede presso l’ex Municipio. Le case, tutte recuperate in pietra locale e legna, ci appaiono immediatamente ben tenute e curate, graziosi fiori abbelliscono alcuni giardini e balconi, la pace e tranquillità del luogo rendono l’atmosfera ancora più incredibile. Scambiamo due chiacchiere con un ragazzo che sta tagliando l’erba dei viali, gestisce insieme alla sorella un bed and breakfast e una locanda/bar che sorge nella piazzetta; in un casa adiacente una signora è intenta a produrre miele. E’ difficile pensare che un luogo così fosse diventato un paese fantasma. Oggi può vantare un turismo in crescita e delle attività economica eppure negli anni ottanta, quando in paese vi erano solo quattro persone, ridotte poi alla sola Angiolina Del Papa che per anni fu l’unica a custodirlo, era destinato ad una fine tragica ed un lento declino. Invece già dagli anni novanta sempre più persone hanno cominciato a manifestare interesse verso il borgo, molti sono arrivati, hanno acquistato case antiche e vecchi ruderi, rimettendoli a nuovo e creandosi la loro seconda abitazione. “Da due anni è stato aperto questo bar/ristoro e il B&B che avete visto, l’attività va bene, noi ci viviamo almeno sei mesi l’anno e da un po’ anche una coppia di Roma si è trasferita quasi definitivamente a vivere qua” è Mariarita a raccontarci questa storia, nel frattempo una coppia di ciclisti si è aggiunta alla conversazione e non possiamo che condividere la bellezza di questo gruppo di pietre che rivive grazie all’impegno dei suoi nuovi abitanti: una Meraviglia Italiana.

cor_cinquino-72

Rimettersi in viaggio non è mai facile ma il dispiacere è presto ricompensato dal panorama magnifico che ci offre la SR 487 prima del passo di S. Leonardo. Un alternanza di boschi e di roccia, dominati in maniera alternata da un verde acceso e da un rosso porpora rendono piacevole la salita che Carolina fatica a compiere. Passato il paesino di Campo di Giove inizia la discesa e la strada si affianca, interseca sovrastandola in alcuni casi e passandoci sotto in altri, la mitica transiberiana d’Italia, una delle più belle ferrovie della nazione e purtroppo ormai da anni chiusa al trasporto viaggiatori. Fortunatamente grazie all’impegno di cittadini ed associazione questa storica tratta non è stata ancora dismessa e negli ultimi anni sono state effettuate alcune corse con treni storici. Con Giuliano ci lanciamo uno sguardo rapido, non abbiamo bisogno di parole, ad entrambi torna in mente l’incredibile avventura dello scorso anno a piedi sulla ferrovia Pedemontana del Friuli.

Lasciamo la regionale e ci immettiamo nella SS 84 ritornando ora a procedere verso nord compiendo una sorta di itinerario a “vu”. Entriamo nel piccolo comune di Lettopalena alla ricerca della città vecchia di cui però non scorgiamo traccia. E’ ancora la sensualità di Carolina a soccorrerci, un ragazzo esce dal bar e ci spiega come raggiungere la nostra meta che sorge ad alcuni chilometri dal nuovo insediamento. Lettopalena vecchia si trova oltre il ponte che attraversa il fiume Aventino, anche se sarebbe meglio dire i pochi ruderi rimasti dell’antico borgo medievale. In origine sorgeva sulla roccia fra il fiume stesso e il monte, sulle cui pendici si adagiava. La vegetazione oramai ha ricoperto quel che resta del paese che nel lontano 1943 fu completamente distrutto e raso al suolo dai nazisti in fuga e di conseguenza abbandonato. Pannelli esplicativi sono disposti ai margini della stretta “mulattiera” che si inerpica sulla parete rocciosa costeggiando il limitare dell’antico borgo e che ci immette di nuovo sulla statale 84 che in questo punto corre a mezzacosta sullo sprofondo.

cor_cinquino-59

Dopo il lago Sant’Angelo saliamo per Gessopalena. L’antico borgo sorge adiacente al nuovo insediamento, appena superato l’arco d’entrata, su un crinale di roccia. Oggi è diventata un’area archeologica visitabile. Percorriamo il viale di ciottoli, gli edifici sono tutti distrutti e solamente poche case di sasso sono rimaste in piedi. Macerie di quello che fu, con gli edifici che erano addossati gli uni agli altri, si intravedono i resti di locali interrati nella roccia di gesso, uno spettacolo un po’ triste e deprimente vederla in queste condizioni. La cittadina fu sventrata prima da un terremoto nel 1933 e poi dalla furia omicida delle truppe tedesche in ritirata nell’ultima guerra che qui commisero uno dei più atroci eccidi e rasero al suolo l’abitato. L’unica palazzina integra e ristruttura della zona archeologica porta la targa intitolata alla Brigata Maiella, formazione partigiana che nacque proprio qui ed ospita l’omonima fondazione. Al termine del sentiero sorge un monumento in pietra contro il nazifascismo affinché nessuno possa dimenticare gli orrori di quelle dittature e dallo stesso punto la visuale si apre su tutto il circondario.

Ci perdiamo piacevolmente sulla deserta provinciale 132 di cui siamo quasi gli unici frequentatori, davanti a noi si stagliano alte pale eoliche, disseminate su tutto il crinale della montagna, certo la visuale non è delle migliori però rappresentano un importante mezzo di produzione di energia pulita. Forse un compromesso accettabile fra estetica ed utilità, sicuramente meglio qualcosa di brutto da vedere che l’inquinamento ed i rischi connessi alle centrali a carbone, petrolio o nucleari. Se si vuole salvaguardare il patrimonio naturale fino in fondo allora si deve essere anche disposti a ridurre al minimo i consumi di energia e a rinunciare a qualcosa.

cor_cinquino-68

La stradina dissestata ci conduce nel cuore della piccolissima Montelapiano, il comune più piccolo della regione con solamente 50 residenti. Ci viene subito incontro Marco che sicuramente non ha faticato molto nel riconoscerci. E’ un ragazzo che vive qui e che ci porta i saluti di un’amica di Paolo. “C’è poco, un solo bar ed una trattoria. Eh si, siamo veramente in pochi ad abitarci ma fino agli anni ottanta c’era tanta più gente”. Il paesino è conosciuto con il soprannome di “balcone d’Abruzzo” ed in effetti i suoi belvedere offrono degli scorci suggestivi e particolari soprattutto sul sottostante lago di Bomba. Si alternano case ristrutturate con altre che dimostrano il segno dei tempi, cartelli di vendesi ma anche finestre aperte. In particolare ci colpisce una strana abitazione che termina con un balcone particolare che si allunga come una specie di trampolino dall’edificio fino a picco sull’ultima roccia, sembra quasi un bastione difensivo con torre di guardia. Anche se sono pochi gli abitanti, quei pochi si dimostrano molto socievoli e chiacchieroni. Prima due signore, tra cui una che ancora vive qui, ci salutano ed attaccano a raccontarci del paese. “Fino agli anni 50-60 eravamo quasi mille persone, si lavorava tutti la terra, poi fra il 1955 ed il 1963 i lavori di costruzione della centrale elettrica hanno dato da lavorare a tantissima gente ed arrivavano operai da tutta la regione ed erano alloggiati ovunque, anche nei fienili”. Si lamentano che non c’è nulla neanche un negozio né un posto per dormire. Dopo è il turno di un simpatico signore che ci ferma al grido “dove l’avete presa questa” indicando la nostra amata Carolina. D’Angelo il francese, è così che è conosciuto, ci racconta subito la sua storia. Nato qui si trasferì nella metà degli anni cinquanta a Parigi, seguendo le orme del padre, tuttora vive là ma ogni estate ritorna nel paese natale. Ci confida di essere stato uno dei pochi a possedere una simca bagheera.

Il sole ormai sta per calare e facciamo sosta a Villa S.Maria dove sorge una rinomata scuola alberghiera. Tutta la vallata è attraversata da un enorme viadotto, è la super strada Sangrina, con altissimi pilastri che escono dal terreno come funghi, un vero e proprio scempio alla natura e al bellissimo panorama di tutta la zona, un enorme mostro e probabilmente l’ennesimo caso di arricchimento per i soliti noti. Ancora una volta la bellezza sacrificata al dio denaro e alla velocità.

Dopo gli abituali controllo mattutini di Carolina, partiamo verso la prima metà odierna che dista solo pochi chilometri. Montebello sul Sangro sorge a valle e là si vede appena superata una piccola galleria che taglia il picco della montagna ma noi siamo alla ricerca dell’antico borgo conosciuto con il nome di Buonanotte. Chiediamo ad una coppia di signori che passeggia vicino a noi e ci dicono che il nucleo antico è adagiato sul crinale del monte Vecchio praticamente proprio sopra ed affianco alla galleria appena superata. “Il paese è abbandonato da tanti anni, da quanto una frana se ne è portato via un bel pezzo, qui sotto c’è tutta acqua ed è per quello che è crollato”. Torniamo indietro, parcheggiamo Carolina vicino l’imbocco della galleria e prendiamo un piccolo sentiero che sale da lì. Stranamente le scalinate di accesso sono tenute in ordine e l’erba è tagliata, il primo caseggiato appare in un buono stato, infissi e porte sistemate e chiuse con lucchetti, e poi una musica e dei fiori ai balconi. Cavolo ma allora qualcuno ci deve vivere! Ma sembra strano e difficile, eppure la voce della radio accesa lascia pochi dubbi, chissà che storia ci sarà dietro. Queste le domande che ci poniamo fra noi, la nostra presenza non deve di certo essere passata inosservata da l’eventuale abitante ma nessuno si affaccia. Seguiamo il vialetto che circonda questo edificio e che continua ad essere agibile, non è possibile svoltare a destra ed andare a vedere il resto del paese, transenne sbarrano il passo ed i cartelli con pericolo di nuovi crolli sono alquanto esplicativi. Sarebbe bello avventurarsi a vedere gli interni degli edifici franati rimasti immutati dal momento della tragedia e dove la vegetazione torna ad essere presente con forza. Saliamo fino ai resti di una torre quadrata, è il campanile della chiesa, unica parte a restarne in piedi, oltre non possiamo andare, l’erba e la boscaglia sono alti e rigogliosi.

cor_cinquino-64

Raggiungiamo Montebello e ci infiliamo in un bar, neanche il tempo del caffè che inizia la conversazione con un socievole settantenne e con il più taciturno barista. “Il terremoto che ne ha decretato la morte c’è stato nel ‘35 circa, “Vedete quella lassù”, ed indica con un dito il paese fantasma in lontananza, “era la casa di mia suocera e mia cognata; mia moglie nacque già nel nuovo paese. Gira voce che cinque-sei anni fa un magnate scozzese si sia comprato l’intero villaggio, ma nulla è stato fatto. Comunque non ci vive più nessuno da una vita”. Vorremmo dirgli che secondo noi qualcuno ci abita, che la musica risuonava da una casa, ma preferiamo tacere. “Vedete lui, è stato un grande cuoco, è nato qui, ha girato il mondo ed ora e ritornato e fa il barista”. Il cuoco vagabondo, che fino a questo momento aveva taciuto, assecondato e sorriso, e che trasmette quella sensazione di chi ne sa molte ci dice che sono soltanto una cinquantina gli abitanti reali ma che d’estate si riempie degli emigranti che ritorno nel loco natio.

Ripartiamo, direzione sud, scendiamo e costeggiamo il lago di Bomba attraversando prima la piccola Pietraferrazzana, abbarbicata su un pendio, e Monteferrante. La strada è in pessime condizioni, franata in qualche punto, con buche e crepe, e in questo contesto che entriamo nella quinta regione del nostro viaggio. Il Molise ci accoglie così, con provinciali in pessime condizioni e completamente deserte. La prima sosta la facciamo nella graziosa Pescopennataro, paese della pietra e degli abeti, in cui le case sembrano relativamente nuove e ristrutturate, ovviamente in pietra. Il borgo è dominato da una roccia da cui emergono antichi ruderi, che sia forse la città vecchia ci chiediamo? Il panorama è suggestivo e la parete rocciosa delimita una delle sue estremità, su di essa si un ragazzo è impegnato a preparare il sentiero per l’arrampicata sportiva. Proseguiamo su una strada “bianca” al limite del percorribile, gli ammortizzatori di Carolina sono messi a dura prova ma ci troviamo immersi nello splendido parco degli abeti bianchi, una zona boschiva che non passa inosservata. Dopo l’Eremo di San Luca e il passo, planiamo su Capracotta, il secondo comune più alto dell’Appennino. Prima di arrivare nel centro di Castel del Giudice l’insegna che riporta Borgo Tufi, albergo diffuso, attira la nostra attenzione. Facciamo una piccola deviazione e in un attimo siamo in quello che dovrebbe essere il parcheggio. Era una piccola frazione di una ventina di edifici, in molti casi ex stalle, che sono stati trasformati in alloggi. I lavori vanno ancora avanti, gli operai sono all’opera, ma sembra che la struttura sia in attività già da un anno. A noi invece, anche quella che dovrebbe essere una sorta di reception, sembra vuota e chiusa, il restauro è stato compiuto in maniera egregia utilizzando materiali originali, soprattutto pietra, che trasmette quell’idea di antico e rustico.

Rientriamo in Abruzzo giusto il tempo per attraversare Castel di Sangro, ritrovare nuovamente la Transiberiana d’Italia e notare parcheggiati nella stazione dei mezzi d’opera delle FS. Prima di rientrare in Molise costeggiamo per un po’ la Ferroviaria Sangritana, anch’essa chiusa alla circolazione, che ci trasmette lo stesso senso di tristezza ed abbandono di un prezioso patrimonio.

Carolina, ed anche noi, abbiamo bisogno di riposare e troviamo alloggio, nella bella e sperduta nel verde, Locanda Belvedere di Stefano, un ragazzo che ha aperto da nove anni questa attività e che ci farà mangiare una deliziosa cena con un servizio ottimo e raffinato per un prezzo modico. “Mi sono fatto un nome grazie alla qualità del cibo e riesco ad andare avanti, non è facile, però adesso arrivo a fare 4-5 tavoli tutti i giorni, non posso lamentarmi”.

Claudio e Giuliano hanno raccontato le tappe del loro viaggio anche sulla pagina FB Viaggi Lenti. Affacciatevi a birciare. Noi proseguiremo nel proporvi le loro storie di viaggio con Cinquino sabato prossimo.