Testo di Isabella Mancini/
Ci sono voluti 5300 anni per scoprire che Otzi, l’uomo venuto dal ghiaccio, è stato ucciso, con un colpo di freccia. Il suo corpo è stato custodito per migliaia di anni dal ghiacciaio alpino fino a quando, una ventina di anni fa o poco più, i resti mummificati sono emersi e venuti alla luce. L’uomo venuto dal ghiaccio da allora è una miniera di informazioni sul passato grazie agli oggetti che lo accompagnavano ma anche agli studi compiuti sui suoi resti. E’ il ritrovamento di una punta di freccia in una spalla, nel 2001, a rivelare le ragioni  della sua morte mentre nel 2002 si scopre di cosa era composto l’ultimo pasto di Otzi: carne, cereali e verdure. Mangiava poco e di tutto, un vero e proprio onnivoro dell’epoca del rame che apprezzava lo stambecco e il cervo. Con se aveva dell’orzo e del farro e aveva un vestiario fatto di pelli di pecora, capra e vacca, tutti fattori che fanno ipotizzare che la sua tribù fosse di agricoltori che coltivavano la terra e allevavano il bestiame. Il suo genoma è stato completamente tracciato, soffriva di paradontosi ed era coperto da 61 tatuaggi fatti di linee e croci. Se i motivi del suo omicidio in vetta rimangono ancora sconosciuti quello che si è appena scoperto è che il suo stomaco, oltre all’ultimo pasto, conteneva anche l‘Helicobacter pylori.
Un’équipe di ricercatori internazionale, in collaborazione con il paleopatologo Albert Zink e il microbiologo Frank Maixner dell’Accademia Europea di Bolzano (EURAC Istituto per le Mummie e l’Iceman), è riuscita a dimostrare la presenza del batterio, presente in circa metà della popolazione umana odierna. Gli scienziati aspettavano un ceppo batterico europeo, invece ne hanno scoperto uno che attualmente si osserva principalmente in Asia centrale e meridionale. L’analisi genetica del batterio ha aiutato a ricostruire la storia dell’helycobacter strettamente connessa con la storia migratoria dell’uomo. Da dove arrivava allora Otzi?

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Crediti per le fotografie: Ghiacciaio del Similaun (c) Museo Archeologico dell’Alto Adige/L. Aichner;

Mostra permanente – paesaggio mediatico (c) Museo Archeologico dell’Alto Adige/foto-dpi.com