Testo e foto di Letizia Sgalambro

Due novembre, giorno dei morti. Sono di corsa, passo da Via degli Artisti  e mi sorprendo a trovare aperto un portone che non avevo mai varcato. Spinta dalla curiosità entro e mi trovo dentro al Cimitero dei Pinti, luogo di cui avevo visto solo qualche foto, ma non avevo neanche idea di dove fosse.

Insegno italiano a dei ragazzi in cerca di un futuro in Italia. Decido che oggi quella porta è aperta anche per loro. La mia lezione sarà all’aperto. In un cimitero invisibile.

Ma davvero non ho niente di meglio da proporre, questa mattina? A cosa serve imparare parole come tombe, bare, lapidi, croci?

“Ci serve, ci serve!” “Ci serve per capire come vivete voi la morte, e quindi la vita. Ci serve per condividere i nostri dolori, di morti ne abbiamo visti tanti prima di arrivare qua, alcuni non hanno avuto neanche la fortuna di essere sepolti sotto terra, l’acqua se li è presi e portati via…”

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Il cimitero dei Pinti è stato costruito fuori la Porta a Pinti in Via degli Artisti, a metà del 1700, quando ancora era fuori le mura. Era il cimitero dei senza nome, dei morti orfani, i morti abbandonati. I loro corpi erano spesso usati anche per fare studi di anatomia. A metà dell’800 fu ristrutturato: divenne il cimitero dei membri della Misericordia. Vi venivano seppelliti solo uomini. Adesso, da anni, nessuno vi è più sepolto. E’ quasi sempre chiuso. Ha un aspetto monumentale, le lapidi sono sulle mura laterali, le tombe sono solo a terra, coperte d’erba.

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Immaginate di essere straniero, musulmano, poche parole di italiano nel vostro vocabolario: e vi trovarti a girellare fra tombe, croci, statue, lapidi, busti, vecchie carrozze che servivano per trasportare le bare. Immaginate che effetto vi può fare, quante domande possono nascere. “Perché quella donna ha in mano una testa su un piatto? Perché quell’uomo ha delle frecce sul petto? Chi sono? Cosa rappresentano?”

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E poi in aula, quando abbiamo aperto la discussione: “Ma è vero che voi cremate i morti?” “Ma come è possibile? Così non li rispettate!”

I ragazzi mi hanno fatto capire che la cultura dei morti è più legata alla religione che non al paese: in Bangladesh, Gambia, Guinea e Mali, i musulmani vengono sepolti sotto gli alberi nella foresta, viene messa una lapide con nome, data di nascita e morte, niente foto né fiori, ma possono essere posti dei sassi, così come nei cimiteri ebraici. I cristiani invece vengono sepolti come da noi, sotto terra, e i loro cimiteri sono simili ai nostri.

I morti, forse, sono risorti. Hanno voluto darci una mano a parlare.

 

Nonostante che solitamente il cimitero sia aperto solo il 2 Novembre, questo mese è possibile fare ancora qualche visita guidata il 20, 27 Novembre e 10 Dicembre, se siete interessati andate sul sito http://www.conoscifirenze.it/visite_guidate_firenze.php.