Testo e fotografie di Sandro Abruzzese

Il caffè di via dei Lucchesi, a Ferrara

Il caffè di via dei Lucchesi, a Ferrara

E’ un giorno di sole e di pioggia sotto il cielo di Ferrara. La città oscilla tra la tentazione di cedere al grigio cupo dell’inverno e il torpore azzurro di questa seconda estate d’ottobre. I suoi mattoni in cotto recitano, obbedienti, la loro parte senza sbavature: lividi, seriosi col grigio, vividi e accesi appena stesi al sole.

Guardo fuori dalla finestra e scorgo un convento lottizzato. Morte le ultime suore rimaste, è sopravvissuta la piccola chiesa. Gli appartamenti hanno un costo altissimo. Chissà cosa avrebbe pensato in proposito Cristo. Di sicuro lo avrebbe atteso un Grande Inquisitore qualsiasi, accusandolo di eresia. In qualche modo sarebbe finito comunque, di nuovo, tra i pali di una croce o le maglie roventi di una graticola.

Osservo le finestre, le grondaie, i tetti. Trovo quei versi di Franco Fortini che dicono “Qua e là, sul tetto, sui giunti / e lungo i tubi, gore di catrame, calcine / di misere riparazioni. Ma vento e neve, / se stancano il piombo delle docce, la trave marcita / non la spezzano ancora.

Penso con qualche gioia / che un giorno, e non importa / se non ci sarò io, basterà che una rondine / si posi un attimo lì perché tutto nel vuoto precipiti / irreparabilmente, / quella volando via”.

Via Cortebella, nei pressi di corso Isonzo

Scendo in strada e piovono foglie in corso Isonzo. Piovono foglie nei viali alberati. Qualcosa finisce. Intorno nessuno pare curarsene. Gli uomini non ci fanno più caso. Le foglie di platano ricoprono l’asfalto, i ciottoli di fiume. Imbocco via Garibaldi e cerco il mio caffè preferito. In via Lucchesi una volta dimoravano gli industriali, i commercianti d’olio toscani, da lì il nome. Oggi trovo la saracinesca chiusa e mi viene alla mente che, dopo 35 anni, Michele Maglione se n’è andato via. L’avevo conosciuto per via del suo ottimo caffè. I nostri accenti si erano presi, incollati, riconosciuti. Michele Maglione, napoletano dagli occhi azzurri di ghiaccio, ha aperto il caffè di via dei Lucchesi una quindicina di anni fa. Con il timore dell’outsider, ha messo in piedi un locale che offriva esclusivamente caffè delle più svariate miscele. Non altro. Oggi, a distanza di anni, molti tentano di emularlo.

In precedenza aveva vissuto in qualche posto sperduto dell’Africa e commerciato in legname, Michele. Rientrato in Italia, a Ferrara decise di tornare alle origini. Darsi una calmata. Una boccata di vita sedentaria. Le origini, quelle di quando, a sedici anni, passava il tempo nell’azienda di torrefazione dello zio, a Napoli. Apprese il mestiere. Questa è, in parte, la vicenda del Caffè di via Lucchesi.

Oggi la saracinesca di questa storia minuta, semplice, è chiusa.

La titolare Marcella

La titolare Marcella

Il Caffettiere di via dei Lucchesi

Il Caffettiere di via dei Lucchesi

Un giorno, dopo mezza vita emiliana, Michele vende il caffè a Marcella e Monia. Due sorelle more, immerse nei chicchi di caffè, che si impegnano a conservarlo così come lui lo aveva concepito. Vende la sua creatura e acquista un pezzo di terra rossa verso la Murgia brindisina, nel parco degli ulivi secolari, in mezzo a due mari. Prova a realizzare un vecchio sogno, Maglione. Quello di costruirsi una casa fatta di quel legno che tante volte aveva maneggiato e che conosce bene. Poi affittare camere a qualche turista di passaggio, coltivare la terra, preparare il caffè, stavolta per sé e per i propri ospiti.

Caffè

Caffè

Qualcuno sostiene sia un viaggio, questa piccola Odissea chiamata vita. Altri, col volto accigliato, parlano di una perpetua lotta, di un’infinita Iliade senza vincitori, in cui risultiamo tutti assediati, vinti. Stretto tra questi pensieri di una giornata qualunque, mi accontento di una folla che si stringe senza farti troppa compagnia. È Ferrara con una saracinesca abbassata e una storia da raccontare. Mi basta un sabato pomeriggio di una vecchia città ostinata, che fa ancora il suo mestiere. In cui la gente vive, sogna, si innamora, soffre, riparte. In cui di continuo qualcuno approda, mentre alla stazione qualcun altro saluta.