Viaggiando si scrive. Si prende spunto. Cartoline? Forse. Testo e foto di Tommaso Chimenti

Non può essere ancora un valore il fatto che non ci sia una carta per terra. Poche voci, zero urla. Dove sono finiti i bambini, non si sa. Dove hanno messi gli schiamazzi, i giochi? Forse non si può, forse è vietato. Sembra annoiarsi anche il lago. Calmo, fermo. La canzone di Ivan Graziani è un refrain datato ma sempre un evergreen a queste latitudini. Anche lui gli dava l’addio. Una botta di vita. La collina verde sopra ricorda il pan di zucchero di Rio. A forzare un po’ la mano, la fantasia e l’immaginazione. Di colorato e di carioca, di spumeggiante e di samba ben poco salta all’occhio. Per fare un giro in traghetto sulle piccole onde piatte devi aprire un mutuo.
Ci sono manciate di anziani che camminano pianissimo. Li vedi appoggiati a badanti, a treppiedi scintillanti, a velocipedi motorizzati di ultima generazione. Le barche galleggiano, anche loro misurate, moderate, controllate. Viene voglia di un po’ di sano rock e invece ti ritrovi a parlare sottovoce, anche se sei da solo. Passeggi in punta di piedi, per non dare fastidio. Anche le panchine soffrono di solitudine, sole, stanche, abbandonate. Chi si siede guarda avanti in questa conca, come una grande vasca. Il giro del lago finisce presto, poi torni indietro: altri anziani che sorpassano altri anziani. “Ti ricordo così, il tuo sorriso e i tuoi capelli, fermi come il lago”. Tutto è rimasto immobile.