di Fabio Bertino 

Tiziana Barillà è l’autrice del libro “Mimì Capatosta. Mimmo Lucano e il modello Riace”. Il libro è stato pubblicato alla fine del 2017, ma le vicende di questi giorni, con le accuse mosse al sindaco e i tentativi di smantellare un modello virtuoso di accoglienza riconosciuto anche all’estero, lo rendono ancora più attuale. Ho incontrato Tiziana a margine di una presentazione della sua opera ad Alessandria.

Ci racconti come è nata l’idea di un libro su Mimmo Lucano?

In realtà in un modo non molto romantico. E’ stata la direttrice editoriale di Fandango Libri, nel 2016, a chiedermi di scriverlo, perché in quell’anno la rivista Fortune ha inserito Mimmo Lucano al quarantesimo posto nella classifica delle cinquanta persone più influenti del mondo. Tra l’altro io sono di Reggio Calabria e avevo già scritto in diverse occasione di quel che stava succedendo a Riace.

Immagino che ti sarai approcciata a questo lavoro avendo delle aspettative in merito a Mimmo e alla sua esperienza. Approfondendo la conoscenza del “modello Riace”, diresti che queste aspettative hanno trovato conferma?

All’inizio non è stato molto semplice, perché Mimmo è una persona schiva, non propensa a questo genere di cose e a nessuna forma di “personalizzazione”. Mi sono trovata di fronte ad un uomo molto generoso e appassionato, ma che non vuole essere visto come un leader o un protagonista. Per cui avevo quasi timore a chiedergli di scrivere una sorta di sua biografia politica. Invece ciò che ne è risultato è stato qualcosa di molto più soddisfacente di quel che pensavo, perché ripercorrendo la sua storia politica ho potuto ripercorrere tutto un pezzo di storia della sinistra del nostro paese. Direi addirittura che scrivere questo libro per me è stato quasi terapeutico perché è un libro contro la “rimozione”, in particolare del mio territorio. Che permette cioè di tornare a mettere in luce due aspetti importanti: il primo è che la Calabria è una terra di resistenza, che ha alle spalle una lunga storia fatta di tante “resistenze”; e poi che, nonostante le vicende di questi ultimi giorni, non è tutto finito, perché Riace esiste, c’è, e non è qualcosa di avulso rispetto alla storia più generale della mia regione e del nostro paese, ma è una vittoria di una parte d’Italia.

Proprio con riferimento a quel che mi dici della personalità di Mimmo Lucano, al suo non volere essere “protagonista”, nella sua premessa al libro si legge infatti “Confesso di non amare molto questo titolo, Mimì Capatosta. Non lo amo perché non si tratta tanto di avere la testa dura, quanto di volere realmente qualcosa. Inoltre non mi piace la personalizzazione. Sono legato ad un ideale politico che non era personale ma collettivo, di tutti noi. Quindi per me non è solo un fatto di “testa”. E’ una questione di vita, non di capa ma di cuore”. Non credi che, in un certo senso, queste parole contribuiscano a spiegare l’attacco a cui il modello Riace è oggi sottoposto?

Assolutamente sì. Riace oggi non viene attaccata per quello che è, ma per quello che rappresenta, perché incarna appunto qualcosa di collettivo, di tutti noi. Costituisce una sorta di detonatore rispetto a molta della propaganda politica che è stata fatta negli ultimi anni, quella contro l’accoglienza inclusiva, quella della criminalizzazione dei migranti a prescindere, della supposta incompatibilità culturale e così via. Perché è la dimostrazione plastica del fatto che, se questo modello virtuoso di accoglienza è possibile in un piccolo paese sperduto della Calabria, allora è possibile ovunque.

Quindi in questi giorni Riace, i suoi abitanti, il suo sindaco si trovano ad essere eletti, loro malgrado, ad esempio di qualcosa che pare eccezionale ma che dovrebbe e potrebbe, al contrario, essere la normalità.

Esatto, Mimmo la chiama “l’utopia della normalità” e dice che “noi, i riacesi, in fondo non siamo che una metafora del presente”. In un periodo storico in cui è tutto molto confuso, molto opaco, incomprensibile, in un piccolo paese della Locride sembra invece tutto molto semplice e chiaro.

Come dicevamo, oggi questo modello è fortemente sotto attacco, un attacco che colpisce direi a livello personale i riacesi, le singole persone. Come questo viene vissuto in paese?

Certamente è pesante, molto pesante. Perché queste persone si trovano a portare il peso di una battaglia enormemente più ampia, più complessa e più grande di loro. Per cui è responsabilità di tutti, anche nostra, ridistribuire questo peso, non lasciarli soli. Non dimentichiamo, tra l’altro, che l’ordine di arresto per il sindaco è stato solo il momento culminante di una sorta di persecuzione politica in atto da molti mesi, e che quindi grava sul paese, sui suoi abitanti e sul suo sistema di accoglienza da tempo. Con il blocco dei fondi, i ritardi ingiustificati nella loro erogazione e così via. Gli operatori ad esempio non percepiscono lo stipendio da quasi un anno. Fino ad arrivare ora alla richiesta di chiusura dello SPRAR. Si colpisce Riace per colpire il concetto stesso dell’accoglienza diffusa. Tutto quel che sta succedendo è incredibile ma, in un certo senso, anche prevedibile. E non dimentichiamo anche un altro aspetto. Mimmo Lucano è stato eletto sindaco per tre volte consecutive. Se i riacesi cioè lo hanno votato e rivotato (ricordiamo che invece i migranti non votano) significa che lo considerano un buon amministratore, al di là della questione dell’accoglienza.

In queste ore capita di parlare con molte persone che chiedono cosa si può fare a sostegno del modello Riace. Tu che cosa pensi?

Occorre tenere ben presente che il modello Riace è qualcosa che riguarda tutti noi. Direttamente. Per questo il modo migliore per supportarlo è riproporlo nei propri territori, naturalmente tenendo conto delle singole specificità, moltiplicarlo, renderlo il più possibile una pratica diffusa. Con una battuta, durante le presentazioni del libro io parlo dell’esigenza di creare “dieci, cento, mille Riace”. Solo così questa esperienza non andrà sprecata e, anzi, in un certo senso avrà vinto.

Tiziana Barillà, “Mimì Capatosta. Mimo Lucano e il modello Riace”, ed. Fandango Libri.

Tiziana Barillà, giornalista professionista, nasce a Reggio Calabria nel 1979. Nell’aprile 2016 pubblica Don Quijote de la Realidad. Ernesto Che Guevara e il guevarismo (Bookabook. Ha collaborato con Left. E’ tra i fondatori della rivista Il Salto www.ilsalto.net