Testo e foto di Miranda Ventrella

“La Terra gira intorno al Sole, ha forma sferoidale, è seguita da Marte e preceduta da Venere…” –Dopo aver letto un mio vecchio quaderno di geografia astronomica rimango per un attimo interdetta…è tutto corretto? Quando viaggiamo tendiamo a guardarci attorno ma non affianco, collezioniamo paesaggi ed esperienze che andranno ad aggiungersi all’isola dello stupore della nostra coscienza tralasciando un pezzo di puzzle importantissimo e sferoidale, proprio come la Terra: gli occhi.
È attraverso questi che identifichiamo qualsiasi persona: otteniamo informazioni sulla nazionalità osservandone la forma, sullo stato d’animo, per vedere cosa osserva e come osserva. In India ho avuto il piacere di incontrare tanti pianeti, tanti occhi per intenderci. Un giorno ero alla stazione di Calcutta e ho fotografato uno dei molti ragazzini che vivono lì, sul marciapiede. Mi è bastato incrociare il suo Sistema Solare per capire che, finalmente, c’era la Terra davanti a me. Nei suoi occhi era impressa la mia sagoma che reggeva la reflex, c’ero io, una donna, un essere -vivente- in quel momento, più che mai! Tutto ciò che era attorno a lui, al contrario, mi sembrava distante anni luce dalla povertà a cui ero abituata: l’entrata antistante la stazione brulicava di gente, un formicaio. Non erano manager in attesa del treno o ragazzi in vacanza…erano famiglie senzatetto, senza-un-tetto, senza niente. Accanto a me c’era Sonam, una ragazza che vive ormai da anni nell’orfanotrofio presso cui ero volontaria. Se non fosse stato per le suore che l’hanno accolta, suo padre l’avrebbe uccisa: dare in dote una donna costa tanto. Tutto ciò che vedevo nei suoi occhi non era di certo un riflesso della situazione apocalittica che stavo vivendo, ormai Sonam era su un altro pianeta…più giusto e pulito. L’astro che ho incontrato più volte in assoluto è stato Venere: le bambine in orfanotrofio avevano dei sorrisi splendenti e uno sguardo lucente …essendo il secondo pianeta più luminoso nei cielo notturno dopo la Luna, non potevano essere da meno! Mi giravano attorno come satelliti, riempendomi di domande e premure. Sentirmi chiamare mamma ha fatto un certo effetto, con una responsabilità in più mi sono avvicinata ulteriormente a loro. Per la prima volta ero uscita fuori dal mio pianeta, non sentivo più la Terra sotto i piedi. Thakurnagar, invece, mi ha permesso di conoscere Marte e Giove in un villaggio: vedevo casette di paglia ed alcune più stabili, tantissimi bambini, sorrisi e gentilezza. Mentre stringevo la mia tazzina di tè caldo, preparato con tanta premura a gambe incrociate dalla signora che aveva acceso il fuoco con la legna, mi venivano in mente le volte in cui mia madre si disperava a causa del mio impeccabile ritardo nell’avvisarla dell’imminente arrivo dei miei amici: “E adesso?!”-diceva- “Come faccio? non ho niente di buono da offrire!”. In realtà sapevo che ci sarebbe stata sicuramente la cioccolata calda ad aspettarci, come ero sicura del fatto che dal quel momento in poi tutte le famiglie mi avrebbero offerto del tè e dei biscotti in segno di cordialità. Avevo tanti pianeti che giravano attorno, più o meno vicini a me, li riconoscevo. Solamente ripercorrendo questi tasselli ho trovato la risposta alla domanda iniziale: se si sapesse guardare oltre non ci sarebbero distanze. Mi sono sentita come Neil Armstrong quando sbarcò sulla Luna, come lui ho piantato la bandiera della mia coscienza (e conoscenza): ho esplorato l’universo e…me stessa.

Venere