Testo e foto di Paolo Maggioni.

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Kolomyia, 21 agosto 2013, sulle tracce della Bryndza.

Partenza da Kolomyia di mercoledi mattina, presto. Cerco in questo angolo occidentale di Ucraina sapori ed aromi che porto con me da quattro anni.
4anni e 500km più a sud, dove, in territorio romeno, alle pendici meridionali dei Carpazi, assaggiai la brânza, il formaggio a pasta molle tipico dell’Europa centro-orientale.

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Mezz’ora abbondante di auto, è da Sheshory che parte la facile mulattiera.

Pochi tornanti che si inerpicano sulla montagna, il sole abbaglia riflettendosi sui tetti di metallo lavorato delle case a fondo valle. Segue un alternarsi di boschi e radure, in sottofondo acqua di fonte che scorre sul tappeto di foglie d’autunno e i campanacci delle mucche al pascolo.

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I bovini sono il più grande patrimonio della regione. Ogni famiglia ne possiede qualche capo, pochi, 2 o 3, con cui spartisce le mura domestiche nella stagione invernale, a valle.

È Slavik che me ne parla accompagnandomi quassù. 25 anni, una laurea in economia, ma che di turismo vive molto meglio che sedendo allo sportello di una banca. E tutto sommato è più di compagnia di una mappa 1:25000, che per altro non credo neppure esista per questa parte di Europa.

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D’estate il bestiame viene condotto al pascolo, e a nome di tutto il villaggio sono in 5 a prendersene cura.
2 adulti con il compito di preparare la bryndza – questo il nome che il formaggio prende da queste parti – e 3 adolescenti che badano alle mucche. E che corrono su e giù tra villaggio ed alpeggio per sbrigare commissioni e ricaricare il telefono cellulare, oltre che per abbeverare i cavalli, unico mezzo di spostamento in quota.
Per loro la comunitá prevede una retribuzione; la bryndza invece va ai proprietari del bestiame, proporzionalmente al numero di capi in loro possesso.

Son 2 ore di cammino, e al centro di una radura è un piccolo edificio in legno. Tre locali: a quello adibito a zona notte si accede direttamente dall’esterno. Nella stanza principale, in un enorme pentolone, su fuoco di legna, cuoce il latte munto in giornata. Di lato, seduto a tavola, sotto ad una icona mariana, uno dei giovani si accinge a consumare il suo pranzo. Sulla mensa sono uova, pomodori, patate, lardo a piccole spesse fette, scaglie di bryndza e birra locale.

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Dentro è legna che arde, ma l’atmosfera non è satura di fumo. Un aroma affumicato si mischia al sudore cotto sui nostri indumenti, durante l’ascesa, dal sole fresco.
Nell’aria l’inconfondibile profumo di corteccia bruciata a coccolare per mesi, in un vano sopra alla porta, delle grosse forme di formaggio.

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Ne assaggio un primo tipo, troppo dolce. Non mi convince.
Slavik chiede del sale in cui intingerlo prima di addentarlo.
Va decisamente meglio con una forma più stagionata. Ma è solo più tardi che capisco perchè son li, quando accetto l’invito ad attingere con le mani da un contenitore in legno ed assaggio un formaggio di consistenza quasi farinosa che in quel legno ha riposato per un intero anno.

Un bicchiere di birra freschissima, e prima di prendere la strada del ritorno c’è il tempo di fare quattro passi più in là. Dove era una piccola cappella votiva in legno ne sta sorgendo una fatta con mura a secco. Più bella, mi dicono orgogliosi.

Giunto il momento di tornare a valle, lo facciamo per lo stesso sentiero da cui siamo venuti, scortati dal giovane pastore che accompagna uno dei cavalli a bere al torrente.

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