testo e foto di Alfredo Felletti

Vudù, letteralmente, nell’antica lingua Ewe, “Dio creatore o Grande Spirito“. Parola evocativa che richiama alla mente di noi occidentali la magia nera, immagini di zombie, spilloni e bamboline. Pochi sanno che il vudù africano è una vera e propria religione, di stato come in Benin, in pacifica convivenza con altre religioni compresa quella cattolica. In Africa è praticato prevalentemente in Togo e Benin, anche in Ghana e Nigeria, e si avvale di riti ancestrali. Una religione che affonda le radici in quella animista, collegata ai principi della natura, che ha nel rispetto delle regole degli spiriti guida (Loa) la sua missione quotidiana. Gran sacerdote del vudù è l'”houngan”, animatore delle feste che si tengono fino anche nei più piccoli villaggi, ed è colui che sovraintende alle cerimonie, una sorta di predicatore, guaritore, indovino ed esorcista durante i riti, in cui si verificano casi di “possessione”. Durante i riti collettivi di canti e preghiera, gli spiriti si impossessano momentaneamente dell’anima di qualche adepto, mentre il gran sacerdote benedice tutti i presenti. Non è raro infatti, visitando isolati villaggi, imbattersi in festeggiamenti a cui poter assistere lasciandosi coinvolgere dal ritmo incessante dei tamburi. Un suono ipnotico e ripetitivo che spinge i danzatori, donne soprattutto, a raggiungere uno stato di estasi, aiutati anche dall’alcol, offerto alle divinità. Dopo ore di ballo frenetico alcune delle danzatrici possono cadere in catalessi, uno stato di torpore, quasi un dormiveglia, di cui però non sono coscienti. Non vedono, non sentono, non parlano, non rispondono a nessun tipo di stimolo e cadono svenute. Le divinità, i Loa, si sono impossessati della loro anima ed è in questo preciso momento che avviene la comunione tra umano e divino. Il maestro di cerimonia ordina allora, alle compagne rimaste vigili, di aiutare le donne svenute e di portarle all’interno di una capanna dove si riprenderanno dopo qualche ora di riposo Lungo le strade, poco trafficate, del Benin e del Togo sorgono piccoli templi e chiunque abbia un desiderio da esaudire, non può esimersi dal fermarsi. Qui è possibile fare un’offerta ai Loa, tramite i feticci, messaggeri tra ‘umano e il divino e protettori dei villaggi.
Camminando tra cumuli di fango di forma vagamente umana, ci si sorprende a guardare le migliaia di penne di gallina che cospargono il terreno. Spesso, durante questi riti si offre in sacrificio un animale e il suo sangue sarà l’offerta al vudù, rappresentato dal feticcio che esaudirà il desiderio dell’adepto. Visitando i villaggi è anche possibile incontrare, e parlare, direttamente con uno sciamano o feticheur a cui rivolgersi, eventualmente, per ottenere, semplicemente, una benedizione, oppure aiuto per realizzare un personale desiderio. Sarà in ogni caso un’esperienza significativa che lascerà un profondo segno. Lo sciamano tramite riti ancestrali metterà in contatto l’adepto con le divinità e lo aiuterà a trovare la giusta via affinché sogni e desideri si possano avverare.