pensiero di Stefano Spadoni
foto di Andrea Semplici

 

Per la prima volta assisto a un campionato mondiale di calcio a cui non partecipa l’Italia.
Accantonati gli sperimentati riti scaramantico/propiziatori come: guardare la partita della nazionale con la maglietta azzurra (ancora quella delle notti magiche di Italia ’90) seduto nel solito posto sul divano senza invitare nessuno a casa (unica eccezione mia figlia quando vuole), a cena un piatto di linguine al pesto, leggere qualche pagina del cantore maximo Gianni Brera, mettere il tricolore in terrazza.
Sinora ho seguito con interesse il Brasile e la Spagna, squadre che praticano un costante e paziente possesso palla, mai banale. Ed ho perso la pazienza, ma sì, quando ho visto delle squadre arroccate con tutti i suoi giocatori negli ultimi 35 metri di campo, davanti alla propria porta. E nessuno nella metà campo avversaria. Ma questo non per qualche minuto, ma per tutta la partita. Per cui quando respingevano il pallone era il portiere avversario solo soletto a raccoglierlo e a riproporlo ai propri compagni per l’ennesimo attacco in spazi impossibili.
L’Italia ha inventato il catenaccio, non lo si può negare (quante vittorie sparagnine…) ma almeno Riva e Boninsegna, Paolo Rossi e Altobelli rimanevano oltre la linea di metà campo: per lunghi tratti della partita imbastivano partite a carte con i difensori avversari ma quando arrivava un pallone se lo giocavano e spesso erano dolori per gli altri!
Per adesso come livello di gioco nessuna formazione mi ha entusiasmato più di tanto: sono lontani anni luce Pelè con l’ineguagliabile Brasile del 1958 e 1970, Cruyff e l’arancia meccanica dell’Olanda del 1974. Puskas con la grande Ungheria del 1954 e la sua triste storia (se volete potete leggere un bel libro di Luigi Bolognini: la squadra spezzata e la rivoluzione ungherese del 1956)
Intanto sta per finire la fase a gironi, poi finalmente le partite ad eliminazione diretta, senza le cosiddette squadre materasso: finalmente potremo assistere a match da cui dovrà uscire un vincitore, non solo sopravvivere in attesa del fischio finale dopo avere praticato una triste condotta ostruzionistica. E i fuoriclasse si vedranno, magari ispirati da Eupalla il dio del calcio.