Di Donatella Basile

Una delle tante versioni del mito narra che la più bella delle sirene, quella Parthenope che dà il proprio nome a tutto il territorio circostante, sia sepolta sotto il Castel dell’Ovo, morta suicida.

E la morte torna in quei celebri versi riportati da Goethe in un passo del suo “Viaggio in Italia” del 1787 come citazione di un detto popolare… vedi Napoli e poi muori.

Se la si dovesse definire come una cosa fatta, un qualcosa di tangibile verrebbe forse da paragonarla a un ventre pieno e fecondato. Un’anca sporgente e rotonda, un seno gonfio e offerente: quello delle Sette opere di misericordia di Caravaggio fra queste strade concepito.

Se fosse unione di punti sarebbe cerchio, linea tonda ininterrotta, accoglienza e maternità. Una femmina sensuale e provocante ma anche materna e accogliente. Ostentatrice a tratti volgare ma irresistibile e carnalmente oscena. 

Son state spese milioni di parole per Napoli nel tentativo di coglierne un’essenza così densa. Dare una definizione per restituire l’emozione che suscita. Ma forse per questo scopo è più facile suggerire di chiudere gli occhi e provare ad immaginare la sensazione di immergere le mani in un impasto lievitato.

Tutto qui evoca le rotondità del fianco della montagna che ogni tanto esplode, tutto concorre a pensare ad una linea ondeggiante e continua. Figlia dell’abbraccio del suo golfo, linea ininterrotta della costa, fluttuare alternante dei quartieri così diversi fra loro, eppure germani indivisibili. Il Vomero ed i Quartieri Spagnoli, Posillipo e la Sanità. Più anime nello stesso corpo di straripante bellezza. Fatica e grazia. Sudore e ozio.

Provate a fare un giro in via Firenze: si trova esattamente all’incrocio fra Nanchino e Lagos, là dove due amanti avidamente si cercano mani e centimetri di pelle, vivono contemporaneamente vite di sotterfugi ed espedienti.. Fra un babà ed una sfogliatella, un kebab ed un involtino primavera si consuma una vita roboante di attori navigati.

Ogni angolo pare offrire il pretesto per una messinscena. Ogni richiesta di informazione, ogni passaggio diventa lo spunto per un nuovo ciak. O forse è solo fantasia. Solo suggestione. La vita scorre così com’è, qui come in qualsiasi altro posto. Qui forse, solo più chiassosa e mimetica. 

Eppure quell’impressione non può essere così sbagliata. Quell’emozione filtrata ed esasperata da un forte sentimento nascente non può essere del tutto menzognera.

Napoli è così. Tanta troppa tutta insieme. Un’onda d’urto di emozione che ti ubriaca e stordisce. Un po’ ti imbambola e confonde. Ti sballottola facendoti perdere l’equilibrio. Uno strano mal di terra. Un’emozione che parte dagli occhi, scende nel petto, stringe lo stomaco e torna su: fra gli zigomi e le rughe degli occhi. Se ne rimani schiavi, in balia del suo troppo.

Fra il mare di Mergellina e il cielo di San Martino.

Chi l’ha detto che l’amore è quel po’ di veleno quotidiano necessario a vivere? Napoli è pozione e antidoto di se stessa.

Certo è facile cadere in suggestioni e facili luoghi comuni, rimanere affascinati da un aspetto e tacere le mille difficoltà che una realtà così complessa e stratificata in realtà contiene, ma se di una cartolina si tratta allora è l’emozione suscitata quella che fa mandare cari saluti dalla città della sirena che incanta.