Testo e foto di Valeria Cipolat

Da mezzo secolo si chiama Ho-chi-min City, ma come sfuggire al vecchio nome se lo hai conosciuto da giovane. ‘Sapevo che sarei dovuta arrivare in piena notte, ma così la città mi ha mostrato uno dei suoi volti. L’esplorazione comincia da una motoretta-taxi e dalla vetrina di una caffetteria. Attesa…

Interno Caffè a Saigon

Non lo so cosa sia andato storto, perché siamo arrivati a destinazione con due ore di anticipo, ma così è stato.

Pensavo che l’autista stesse svegliando quelli che dovevano scendere durante il percorso, era ancora presto per inserire Google Maps, per verificare quanto mancava all’arrivo. Invece all’improvviso mi sono sentita urlare qualcosa addosso. Dovevo scendere. Prendo il sacchetto con le scarpe che mi avevano fatto togliere prima di salire. Mi assicuro di non lasciare niente nel mio loculo/cuccetta e cammino verso l’uscita del pullman.

Il mio bagaglio è l’unico rimasto sul marciapiede. Un autista iperattivo mi chiede il nome del mio hotel e io, ancora mezza addormentata gli dico di aspettare un attimo, mentre cerco l’indirizzo. Mi chiede 50.000 Dong; so che è almeno il doppio di quello che mi chiederebbe un Grab, l’Uber asiatico che mi ha aiutato finora nei piccoli spostamenti all’interno delle città che ho visitato. Ma per 2 dollari scarsi accetto senza esitazione: sono le 3:45 e anche lui sta facendo il turno di notte. Mi guardo intorno ma non vedo auto. Noto solo in quel momento, mentre afferra il mio bagaglio, che indossa un elmetto.

Capisco anche subito che il casco, per me, sia un “accessorio” non contemplato.

Mi chiudo la zip della giacca e salto sulla sella dietro di lui con lo zaino sulle spalle, mentre questi, con doti da equilibrista sostiene davanti a sé il mio bagaglio da stiva di 20 kg, senza sforzo apparente. Imploro un dio che non esiste, sperando che a quest’ora almeno lui sia sveglio.

Traffico di motociclette a Ho Chi Minh City – ex Saigon

Zigzaghiamo tra questi vicoli che non dormono mai. Le strade pullulano di persone. Capisco che siamo in una zona di mercato: donne accovacciate lavano delle verdure misteriose. Casse di pesce vengono lanciate da un camioncino all’interno di un negozio. Un tizio in short e pancia prominente fuma all’angolo della strada.

Ci lasciamo alle spalle il quartiere e scivoliamo via tra questi vicoli stretti che diventano sempre meno animati, per poi inserirci in un’arteria principale nella città ancora semi-deserta. Passiamo sopra un ponte ad 8 corsie, sotto di noi il fiume. Il vento caldo scompiglia i miei capelli. A Ho Chi Minh City, l’antica Saigon a quest’ora ci sono 29 gradi.

Arriviamo a destinazione dopo un tragitto di 10 minuti. E’ un residence di lusso: non è possibile fare il check-in così presto. La guardia notturna mi suggerisce di sedermi qualche metro più in là. C’è un 7Eleven, un supermercato aperto tutta la notte con annessa caffetteria.

Supermercato aperto 24 ore.

Cosa sarà mai aspettare qualche ora seduta su una panchina… c’è chi ci sta una vita per scelta o per destino avverso. Altre due donne sono sedute di fronte all’uscita con delle borse della spesa. Mi siedo a fianco a loro, predisposta all’attesa e mi sorprendo a pensare che essere qui, a quest’ora della notte, dopo tre settimane in Vietnam sembra del tutto normale.

Ragazzi in pausa fuori dal mercato di Ben Thanh

Una ragazza esce da un portone. Indossa una tuta attillata azzurra che lascia poco spazio all’immaginazione. Capelli neri lunghi e lisci, sulla spalla una falsa borsetta “Chanel”; ai piedi sandali con il tacco argentato. Non escludo possa essere una lucciola che ha finito il suo “turno di notte”. Un moto taxi arriva dopo pochi minuti, lei ci salta sopra e se ne vanno insieme, inghiottiti dalla notte.

Traffico di motocicli a Ho Chi Minh.

Osservo che succede all’interno della vetrata del negozio: la commessa pulisce con solerzia pavimento e tavolini. Più tardi prenderò qualcosa.

Una giovane donna in ciabatte e pigiama arriva con il suo bambino nel marsupio. Immagino che stanotte il bimbo abbia avuto la meglio: tanto vale scendere a fare la spesa. Si assicura che il negozio sia aperto, spinge la porta a vetri ed entra.

Una coppia mista arriva di lì a poco. Lui (di colore, capelli rasta) sbraita a volume talmente alto che pensavo stessero litigando. Quando mi passano accanto invece capto in lui un accento di New York. Li avevo rilevati anche prima, mentre camminavano sul marciapiede della sopraelevata di fronte all’edificio, mentre le auto sfrecciavano a fianco. Lei, asiatica indossa un top nero e degli short di jeans che fanno risaltare i suoi sacrifici in palestra.

Quando si allontanano, noto i due peluche colorati che penzolano dalla sua borsetta a tracolla.

Il Mercato di Ben Thanh. Si può comperare qualsiasi cosa, dal cibo all’abbigliamento, comprese le migliori marche del falso.

Delle persone camminano ai bordi della strada vicina, sotto il cavalcavia. Per alcuni la giornata è già iniziata con la passeggiata mattutina. E’ ancora buio, sono le 5:15 del mattino ma il traffico della circonvallazione continua ad aumentare.

L’ufficio Centrale della Posta di Ho Chi Minh City. È stato costruito da Gustave Eiffel tra il 1886 e il 1891. Qui si possono ancora comperare francobolli e spedire cartoline in tutto il mondo.

Verso le sei il guardiano mi viene a cercare. Ha provato a chiamare il numero che aveva ma sono stati irremovibili: check-in alle 15. Non so se per compassione o per cos’altro, riesco a varcare la soglia del lobby per andare a fare pipì, non prima di avermi fatto lasciare il bagaglio fuori dalla porta a vetri: non sia mai che riesca a sfuggire al suo controllo. Mi spinge il bottone del settimo piano ma rimane fuori dall’ascensore. Poi, mi spiega a gesti indicando il pulsante 1 del pianterreno, quando avrò finito schiaccerò quel tasto là.

Capisco che è il piano della piscina all’aperto, alla quale potrò aver accesso una volta essere riuscita a fare il check-in. Intravedo il bordo, in fondo al corridoio. Le addette alle pulizie stanno mangiando il loro Pho, la zuppa di carne e verdure con spaghettini di riso e coriandolo che la maggior parte dei vietnamiti mangia per colazione. Chiedo informazioni per il bagno e mi indicano svogliatamente la porta.

Quando ridiscendo il guardiano è irremovibile. Gli ho chiesto se non potrei aspettare sui lettini in piscina. Niet!

Sapevo che arrivare a Saigon non sarebbe stato facile, ma sapevo anche che me ne sarei andata via diversa.

Alla otto, deposito per due dollari il bagaglio in un bar sotto casa e parto all’avventura della città.