Testo e foto di Federica Brenna

La casa di Nancy è in costruzione. Tra tante case, esternamente sembra una delle poche moderne. Probabilmente grazie a una leggera mano di intonaco bianco che riesce a nascondere l’utilizzo di mattoni e fango che caratterizza la maggior parte delle case peruviane. A distanza di giorni scopro che sta sistemando casa per difendersi dagli effetti del niño. Suono il campanello e viene ad aprirmi lei, accogliendomi con un caldo sorriso e un buenos dias carico di entusiasmo. Il suo volto sembra portare i segni di un forte trauma, ma la sua gentilezza e ospitalità mi fanno sentire a casa. Nancy ha una cinquantina d’anni, vive con la sorella e il marito a Nazca, dove è nata, e da qualche tempo ha deciso di accogliere i turisti di passaggio per la città nella sua spaziosa dimora. Ha due figli che studiano e vivono a Lima, la capitale, e con cui parla al telefono regolarmente. Mentre la ascolto parlare in un lento spagnolo, reso tale per aiutare la mia comprensione, penso che sia una donna molto intelligente e colta. Il suo modo di fare è quello di una mamma premurosa, che spiega dove è meglio andare e quale gente evitare. Mi racconta della sua giovinezza studentesca trascorsa a Lima e della sua attuale amarezza per la trasformazione subita dal paese che l’ha vista nascere. Nazca è una piccola cittadina situata nel deserto, dalla quale passano quotidianamente centinaia di gringos per ammirare le sue famosissime linee. Anche io, come tutti i turisti, sono qui per vedere e comprendere meglio il mistero che circonda le leggendarie linee. Questi disegni nel terreno rimangono avvolti nel mistero, in quanto sono diverse le interpretazioni che cercano di spiegare la loro realizzazione. Una cosa però è certa: occupano una supercifie talmente ampia che è possibile ammirarle solamente dall’alto, sorvolandole con un piccolo aereo da non più di sette posti. Per quanto riguarda il centro urbano, credevo fosse poco più ampio di un’oasi nel deserto: invece Nazca è una vera e propria cittadina, con la sua piazza centrale ben curata e affollata di gente, il suo ampio mercato sede di numerose contrattazioni, le sue numerose strade ricche di ristoranti e negozi. Nancy mi racconta che quando era ragazza, la città viveva di agricoltura, le strade erano poche, alcune di queste non erano nemmeno asfaltate e il clima che si respirava era familiare. “Ora Nazca ha completamente cambiato volto, invasa com’è da turisti, agenzie turistiche e attività commerciali… Le sue strade si sono quintuplicate e la prima e vera risorsa della zona non è più l’agricoltura, bensì l’estrazione di minerali: un business che genera un indotto elevato per la città ma che purtroppo giova solo alle tasche di pochi invece di essere speso e investito per il bene di molti”. Tutto il mondo è paese, penso io. La politica nazionale invece, ovvero l’incombenza delle elezioni, che si terranno nell’aprile del 2016, si manifesta ovunque, soprattutto sui muri diroccati delle piccole o medie città, che riportano a caratteri cubitali il nome di qualche aspirante premier. C’è un nome che cattura in modo particolare la mia attenzione e che si sussegue in continuazione: Keiko. Keiko Fujimori. Conoscevo già questo cognome… Fujimori. Keiko è infatti la figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori, rimasto in carica dal 1990 al 2000. Il padre non gode di ottima reputazione: durante il suo terzo mandato fu costretto ad autoesiliarsi in Giappone, suo paese natale, e in seguito fu condannato a 25 anni di carcere per corruzione e violazione dei diritti umani. La figlia invece sembra essere ben voluta dai peruviani: Keiko si ripresenta alle elezioni presidenziali, dopo aver partecipato a quelle del 2011, in cui ha perso di poco il confronto diretto con l’attuale presidente, Ollanta Humala Tasso, ora non più rieleggibile.

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Vengo accolta da Silvia così come ero stata accolta da Nancy giorni prima: con un entusiasta buenos dias e un sorriso contagioso. Silvia è una ragazza di 29 anni. Padroneggia la sua lingua madre con disinvoltura e si rivolge a me come se anch’io fossi in grado di fare lo stesso. In realtà faccio fatica a seguirla e sono costretta continuamente a chiederle di ripetere ciò che ha detto. Silvia non è molto alta, ha gli occhi scuri, i capelli neri e la sua carnagione è mulatta: tutte caratteristiche tipiche della fisionomia peruviana. Ha 29 anni e sta ancora studiando all’università: sta frequentando un corso serale di contabilità per aiutare il padre nell’amministrazione di una piccola attività commerciale. Sembrano essere diverse le piccole realtà a conduzione familiare simili alla sua, soprattutto nei centri urbani, dove è frequente imbattersi non solo nei titolari delle suddette attività ma anche nei loro giovani figli che scorrazzano felici nel dopo-scuola. In realtà Silvia è già laureata in scienze del turismo, una facoltà di cui mi parla in modo poco convinto ma che le permette di avere vaghe conoscenze della storia romana, di cui va piuttosto fiera. Vive con i suoi sette fratelli e ne è molto felice. Vivere soli in una città peruviana è piuttosto complicato in termini economici: lo stipendio base si aggira intorno ai 750 soles al mese (circa €215) e un affitto in centro città può arrivare a costare fino a 300/400 soles a seconda della zona. La mia nuova amica peruviana è nata e cresciuta a Puno e non ha mai avuto la fortuna di viaggiare molto… Ha visto La Paz in Bolivia, che dista dalla sua città di nascita solamente qualche ora di bus. Scherza sul fatto che solo in Sud America ho visitato molti più posti di lei, ma nel dirlo non mostra alcuna traccia di invidia. Sono io invece ad invidiarla: sembra una persona tranquilla e serena. Sembra accontentarsi della vita che ha, del posto in cui vive e delle persone che la circondano. Io invece mi sento sempre alla ricerca.. di una posizione migliore sul lavoro, di un aumento dello stipendio, di nuovi posti da vedere, di persone diverse da conoscere. Quando mi trovo a tu per tu con persone di questo tipo mi sembra davvero di essere incapace di accettare e godere della realtà che mi circonda, che tutto sommato è una bella realtà. Chi si accontenta gode quindi? O, per dirla come Vasco Rossi, “chi si accontenta gode così così?”
Puno è una cittadina tranquilla che si affaccia sul lago Titicaca, il più alto al mondo. In questo periodo dell’anno è afflitta dalle piogge e le sue strade possono diventare dei veri e propri fiumi di fango. Silvia mi racconta che la città si sta pian piano ingrandendo: sono sempre di più i ragazzi che dalle campagne arrivano in città per studiare e che, una volta conseguita la laurea, qui vi rimangono per lavorare. Mentre parliamo sorseggiando mate di coca, osservo le fotografie colorate appese alle pareti e immediatamente penso alle feste che si susseguono nel corso dell’anno in questa baldanzosa città sudamericana. In tutto il Perù ogni scusa è buona per festeggiare: a Puno si celebra per una settimana intera la nascita dell’Impero Inca quando i figli del Dio Sole (Inti) ovvero Manco Càpac e Mama Odlo uscirono dal Lago Titicaca per trovare le terre dove far sorgere l’Impero; a febbraio le strade della città sono invase da danzatori e musicisti per la festa della Virgen de la Candelaria, patrona della città, evento di importanza unico per tutta l’America latina e per le comunità dei Quechua e degli Aymara; e poi ci sono i festeggiamenti del carnevale a sommarsi alle altre 3000 festività del Paese.
Sia Nancy che Silvia con le loro storie mi hanno spinto a fare una riflessione sulla realtà peruviana: entrambe le città dove vivono, che immagino non siano le uniche, Nazca e Puno, hanno subìto, e stanno ancora subendo, una forte trasformazione sociale. Un cambiamento molto simile a quello visto nel vecchio continente: famiglie che si restringono, figli che si trasferiscono in città per studiare e che lì rimangono, campagne che pian piano si spopolano, città che si espandono. Nonostante questo aspetto, per fortuna la realtà che si scorge per le strade è ancora molto legata alla tradizione, con le bancarelle che vendono anticuchios, i lustrabotes che si impegnano a rendere quasi nuove le scarpe dei passanti, i mototaxi che si aggirano impazziti tra le strade impolverate dei piccoli centri urbani e i bambini i cui teneri sguardi escono da grandi stoffe colorate. Non ci resta che rimanere ad ascoltare la musica di questo bandonèon osservando come le pieghe del suo mantice si allargano e restringono disegnando i ritmi delle vite quotidiane di tutte le Silvia e Nancy del Perù.