Gruppo di Levantini_1

Padre Luciano, monaco francescano, frugò nelle sua tonaca alla ricerca delle chiavi. Riuscì ad aprire la porta di un confuso ripostiglio dove, in un vecchio baule, erano “dimenticate” 107 figure del più importante presepe d’Italia. Questo è il breve racconto di un etnografo che, assieme a suo padre, ha visto dischiudersi un vero tesoro dimenticato.

Testo e fotografie di Gaetano De Crecchio

Riapro una cartella del 2011 dove, sulla copertina, appuntai: progetto pastori nel Convento “S. Angelo della Pace”. L’anno prima, con mio padre Giacomo, varcavo per la prima volta le porte del Convento lancianese, così incontrammo gli informatori della nostra ricerca. Ricordo di quel giorno che all’esterno, a fianco della chiesa, sotto il grande campanile rivestito di mattoni, faceva un gran freddo e che ad accompagnarci nella stanza dove, per qualche mese, avremmo predisposto il nostro campo base, fu Padre Luciano Milantoni.

Attraversato il piccolo chiostro interno, ci fece salire delle scale, poi in ascensore fino all’ultimo piano della struttura e qui, attraversato un corridoio, finalmente giungemmo davanti a una porta. Si fermò e cominciò a frugare per cercare la chiave nelle innumerevoli tasche che si nascondono negli abiti dei monaci, mentre io, per curiosità, mi chiedevo quante ne potessero contenere. Poco dopo gli venne in aiuto Antonio, un giovane chierico con dei grossi occhiali, vestito comunemente e fornito della chiave giusta.

Allo spalancarsi della porta la prima cosa che percepii fu che la temperatura non era assolutamente cambiata e, per rendere l’idea di quanto facesse freddo, mi limito a dire che le lenti dell’obbiettivo della macchina fotografica erano completamente appannate, esternamente ed internamente. I primi passi verso una nuova ricerca restano sempre i più emozionanti e determinanti; amo la sensazione che si prova al primo incontro con l’oggetto/soggetto della ricerca del momento… il timore, l’emozione, l’imbarazzo, le presentazioni, gli sguardi, i lunghi silenzi.

La stanza in cui entrammo aveva l’aria di essere un grande ripostiglio, un poco in disordine, non molto frequentato, con una velatura di polvere uniforme su ogni cosa: un antico pianoforte di legno e una fisarmonica con i tasti di madreperla, varie statue devozionali a figura intera e a mezzo busto, grossi pezzi di corteccia di pino e del muschio da utilizzare per l’allestimento scenografico del presepe parrocchiale, un vecchio lavello, una cucina elettrica, qualche scrivania e sulle pareti una cartina geografica scolorita, poi, qualche icona.

Mentre mi chiedevo dove fossero i nostri informatori, oppure se avessero disertato l’appuntamento, Padre Luciano si avvicinò a uno dei numerosi bauli posti nella stanza e, sollevato il coperchio di quello rivestito di velluto arancione fissato da borchie dorate, “li” vidi che ci aspettavano supini, accalcati l’uno sull’altro, di testa e di piedi, come accadeva nelle famiglie contadine agli inizi del ‘900, quando un letto doveva bastare per tutti della famiglia.

Forse, un poco annoiati ed un tantino infastiditi da tanto mistero, potreste anche obiettare: di cosa sta parlando? Quante persone potrebbero mai restare immobili in un vecchio baule? E chi saranno mai, un gruppo di contorsionisti?

È così giunto il momento di arrestare la suspense ed è il caso che vi dica di più sulla nostra ricerca.

Erano mesi che si progettava di recarci nel Convento – peraltro a due passi da casa nostra – ed erano mesi che mio padre Giacomo ne parlava: «Dobbiamo andare per conoscere i pastori, quelli del presepe degli Antinori. Dobbiamo andarci il prima possibile. Non è giusto lasciarli nel dimenticatoio. È un patrimonio culturale troppo importante per non interessarsene. Bisogna assolutamente farne qualcosa».

Ecco svelato l’arcano, eravamo lì per degli antichi pastori: non pastori qualunque, ma delle vere e proprie opere d’arte artigiana, espressione di scultori sul finire del Seicento. Appartenevano alla famiglia Antinori dell’Aquila. In totale, i pezzi che contammo e che componevano l’intero presepe erano 108, di cui 84 figure, tutte lignee e con articolazioni snodabili, vestite con abiti di stoffa e lana cuciti a mano, con scarpe in pelle, poi, a seguire, una corte di 24 animali, in legno ed in cartapesta.

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Ottantaquattro pastori…

Sono state ritrovate e catalogate 108 figure presepiali – di dimensioni variabili tra i 46 e 68 cm – di cui 84 pastori e 24 animali. I corpi delle figure sono stati modellati nel legno. Ad eccezione di alcuni, come quelli degli schiavi forzati, in maggioranza sono dotati di congegni che, permettendo alle articolazioni di muoversi, possono far assumere varie posizioni. I vestiti sono cuciti a mano con l’ago, rifiniti con trine al tombolo e fili sottilissimi di macramè. Le calze che si nascondono nelle scarpe di cuoio hanno la forma del piede con punta e calcagno. Sono visibili i segni di alcune malformazioni, come il gozzo, che erano la conseguenza di carenze alimentari per l’abitudine ad una dieta priva di vitamine. Il presepe giunse a Lanciano a seguito di un lascito della famiglia Antinori dell’Aquila che lo ha consegnato a Luigi Stella Maranca. Quando la sua famiglia si è estinta ne sono diventate responsabili prima le suore dei “Sacri Cuori di Gesù e Maria”, poi i frati del Convento “S. Angelo della Pace” di Lanciano.

Giacomo e Gaetano de Crecchio hanno curato la pubblicazione de I Pastori che dormono. Il Presepe Antinori in viaggio da Aquila a Lanciano, edito dalla Casa Editrice Rocco Carabba nel 2012.

San Giuseppe

San Giuseppe

 

Sacerdote

Sacerdote

Donna con il gozzo

Donna con il gozzo

 

Madonna Maria

Madonna Maria

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