Testo e foto di Marco Steiner

Dal 2004 al 2017 mi è capitato di viaggiare in una maniera diversa, insieme al fotografo Marco D’Anna abbiamo percorso i luoghi imprecisi dove si sono svolte le avventure di un personaggio letterario, Corto Maltese.
Gli itinerari del marinaio creato da Hugo Pratt si svolgevano idealmente nei primi trent’anni del ‘900, quindi, dopo cento anni, abbiamo girato il mondo cercando l’altrove di un personaggio immaginario.
Questi itinerari non sono stati semplici spostamenti geografici, ma parentesi di assoluta libertà.
Il presupposto essenziale consisteva nello spaziare in quei luoghi per cercare di percepire vaghe suggestioni o un barlume di memoria del mondo attraversato da un avventuriero come Corto Maltese.
Incuranti di trasformazioni e nuove frontiere, in un vasto panorama di paesaggi, abbiamo ricercato riferimenti letterari, storici, ma soprattutto vissuto incontri e situazioni reali che si sono inserite in quel contesto immaginario fatto di letture, memorie, visioni e sensazioni.

Il Viaggiare, transitare, cercare, sentire, il perdersi per riuscire a immaginare è stata la base di un percorso che si è progressivamente impregnato di una libera asincronia spazio-temporale e questo è l’elemento che ha arricchito la percezione fisica dei luoghi stessi.
Cercare suggestioni lungo gli itinerari di Corto Maltese con una mappa moderna in mano e dunque percorrere gli stessi luoghi cento anni dopo, alla ricerca di un ricordo o di uno spunto che consenta una connessione con quell’atmosfera perduta, con un profumo o un colore d’inizio secolo, con atmosfere affascinanti, ma ormai pressoché dimenticate, sembra romantico, ma può trasformarsi in una profonda delusione perché nel frattempo il mondo è cambiato ovunque.
In quasi tutti i contesti geografici più disparati, i paesaggi, le strade, i sentieri, le piste, le foreste, i laghi, gli ambienti urbani e spesso anche i reperti storici, quando non sono stati distrutti, sono stati modificati, ingabbiati e trasformati nel generalizzato tentativo di un’appiattita uniformizzazione del mondo.
“La realtà non esiste quasi più, è stata sostituita da simulacri virtuali” diceva Jean Baudrillard e il continuo e ininterrotto flusso di simulazioni mediatiche crea delle aspettative che precedono ogni viaggio, s’infilano in mente immagini preconfezionate dei luoghi che andremo a visitare, ma quando saremo arrivati laggiù, frequentemente, ci ritroveremo in quei luoghi come spettatori calati da un mondo lontano e inseriti in un ambiente apparentemente virtuale, ci muoveremo avvolti e protetti da una bolla di vetro fatta di preconcetti e spesso resteremo lì, allineati e immobili, a “guardare” lo spettacolo del viaggio rimanendo distanti da ciò che è accaduto e accade davanti ai nostri occhi.
E mentre questa “non realtà” ci accoglie e ci ospita, saremo comunque pronti ad accontentarci di uno sfuggente scorcio superficiale, per carpire un ricordo, constatare bellezza o degrado, scattare una fotografia reale o mentale, infilare una bandierina nel nostro mappamondo virtuale, insomma, cercheremo di cogliere un’immagine o un furtivo ricordo da portare a casa per appenderlo alle nostre pareti casalinghe come un trofeo di caccia.
Il senso di questo viaggiare rischia una conclusione preconcetta, la ricerca di una conferma che il nostro luogo di appartenenza è il migliore e, dunque, viaggiare diventa una vaga ricerca di un mero riscontro.
“In quell’Impero, l’Arte della Cartografia raggiunse una tale Perfezione che la Mappa di una sola Provincia occupava tutta una Città, e la Mappa dell’Impero, tutta una Provincia. Col tempo, codeste Mappe Smisurate non soddisfecero e i Collegi dei Cartografi eressero una Mappa dell’Impero che uguagliava in grandezza l’Impero e coincideva puntualmente con esso. Meno Dedite allo Studio della Cartografia, le Generazioni Successive compresero che quella vasta Mappa era Inutile e non senza Empietà la abbandonarono alle Inclemenze del Sole e degl’Inverni. Nei Deserti dell’Ovest rimangono lacere Rovine della Mappa, abitate da Animali e Mendichi; in tutto il Paese non è altra reliquia delle Discipline Geografiche”. (J.L. Borges. L’artefice. Del rigore della scienza.)
Tutto si è giustamente modernizzato, ma purtroppo tutto è stato “ricoperto”, come diceva metaforicamente Borges, o forse, riprodotto.
Sopra alle cose è stata dipinta una nuova realtà, anzi una falsa riproduzione virtuale della realtà.
Il compito del viaggiatore geografico dovrebbe essere duplice: curioso e libero intellettualmente per riuscire ad andare oltre lo sguardo superficiale, oltre l’apparenza.
Per riuscire a entrare in sintonia con un determinato territorio più che la preparazione teorica preventiva serve la disponibilità all’incontro imprevisto.
Gli incontri e gli imprevisti sono quello che definirei “il regalo del viaggio”, cioè quello che resterà.
Il bagaglio più importante da portare in uno zaino ideale è la disponibilità alle variabili, la nostra capacità di inserirci sensibilmente in un determinato contesto per essere pronti ad attendere, comprendere, sentire e, in definitiva, interagire col territorio e con chi lo abita e riesce a cogliere gli elementi invisibili ancora presenti in quel territorio.
Questa disponibilità ci aprirà a una particolare sintonia che ci consentirà di cogliere il racconto evolutivo del viaggio. Un racconto che rappresenta fisicamente il nostro transitare, di esperienza in esperienza, di osservazione in osservazione per vedere e intravedere senza pretendere di giudicare, per cogliere senza pretendere di constatare.
Ogni ostacolo che si frappone alla linearità dell’itinerario lo renderà labirintico e anche da un punto di vista figurativo questo movimento esprime in sé una spirale di approfondimento fisico e mentale nel territorio piuttosto che uno scivolamento superficiale.
Nessun vero viaggio è completamente lineare, anzi spesso diventa tanto più autentico quanto più procede in salita o si addentra fra le crepe del territorio.
Ogni passo rappresenta un gradino da superare; difficoltà, imprevisti e cambiamenti sono i veri fattori che consentono la visione complessiva e profonda e saranno in grado di cambiare la prospettiva generale dello sguardo, cioè cambiare noi stessi per evolvere e accrescerci.
“Viaggiare insegna lo spaesamento, a sentirsi sempre stranieri nella vita, anche a casa propria, ma essere stranieri fra stranieri è forse l’unico modo di essere veramente fratelli.
Per questo la meta del viaggio sono gli uomini.” (Claudio Magris)
Scrittura e Viaggio significano separarsi da qualcosa per scoprirne un’altra.
Scrittura e viaggio raccontano un percorso.
Allontanarsi dalle certezze ci aiuta ad avvicinarci a una meta sconosciuta, a un’idea, a un “Noi stessi” diverso, più libero e più disponibile all’incontro.