di Fabio Bertino e Roberta Melchiorre

Trasbordo (1)

Quando la nave getta l’ancora al largo del villaggio è ormai notte fonda. Con un tramonto infuocato il buio ha inghiottito le montagne del Congo all’orizzonte ed i dhow dei pescatori che ci hanno accompagnato durante il giorno. La notte è senza luna, e oltre il parapetto l’oscurità è un muro impenetrabile, con il nero dell’acqua che si fonde con quello del cielo. Spenti i motori, l’unico rumore è lo sciabordio delle onde sulle fiancate. Rimaniamo così, in attesa, per una decina di minuti. Poi la sirena lancia un lungo ululato. Due, tre, cinque luci compaiono lontano nel buio ed iniziano ad avvicinarsi lentamente. Alcuni minuti dopo riusciamo a sentire il rumore dei fuoribordo. La Liemba accende i riflettori che illuminano le onde nere per qualche metro intorno. Una dopo l’altra le vecchie barche provenienti dal villaggio entrano nel cono di luce. Traboccano di merci e di persone. Hanno nomi come Nakuwa family, Nkuba family o Rugwe brothers e ballano violentemente sulle onde. Su ciascun lato della nave viene aperto un portellone, almeno tre metri al di sopra della linea di galleggiamento. E’ il segnale per il caos frenetico che si scatena nel quarto d’ora successivo. Un vero e proprio abbordaggio, drammatico e concitato. Le lance a motore si avvicinano per prime, poi le raggiungono quelle a remi. Da sotto vengono lanciate grosse gomene che qualcuno dei passeggeri affacciati al ponte superiore afferra al volo ed avvolge rapidamente al parapetto. Per limitare le forti oscillazioni alcuni dei barcaioli si sforzano di tener tese le corde a forza di braccia, puntando i piedi sulle fiancate delle fragili imbarcazioni. Un paio con i secchi svuotano l’acqua dal fondo, altri si danno da fare per aiutare chi deve salire o scendere. Dal basso persone e merci vengono letteralmente issate a bordo, aiutate dagli altri viaggiatori che le afferrano dall’interno della nave, mentre dall’alto si calano i passeggeri arrivati a destinazione. Sembra impossibile che tutto avvenga senza che nessuno si faccia male. I barconi ammassati sui lati della Liemba si scontrano tra loro, traballano, sbattono contro il battello. Bisogna trovare il tempo giusto nei sobbalzi sull’acqua per gettarsi verso l’apertura che porta sottocoperta, arrampicandosi sulla fiancata, prima che una nuova onda allontani la lancia dalla nave. I bambini vengono praticamente lanciati ed afferrati al volo, le persone anziane alzate e scaricate di peso. Si accavallano urla, richiami, imprecazioni, grida di incitamento e di paura. Bisogna sbrigarsi in pochi minuti, prima che la sirena annunci che la motonave sta per ripartire. E cadere in acqua vuol dire rimanere schiacciati fra la Liemba ed i barconi.

Scene convulse come questa si ripetono sul Lago Tanganyka ormai da un secolo. Nel 2013 la Liemba ha infatti compiuto cent’anni di vita. Costruita in Germania nel 1913, venne battezzata “Graf von Gotzen” dal nome del primo Governatore dell’Africa Orientale tedesca, che comprendeva gli attuali Tanzania, Rwanda e Burundi. Nel 1914 fu smontata ed inviata in casse, attraverso Mar Mediterraneo e Canale di Suez, a Dar es Salaam e da qui trasportata per più di 1.000 chilometri verso l’interno, in parte via ferrovia ed in parte via terra con dei portatori, fino a Kigoma, sul Tanganyka, dove fu riassemblata e varata nel 1915 per servire come nave da trasporto sul lago. Durante la I Guerra Mondiale venne poi equipaggiata con un cannone ed impiegata contro le truppe Alleate, belghe ed inglesi. Nel 1916, prima di abbandonare Kigoma, per evitare che cadesse in mani nemiche il comandante tedesco diede ordine di affondarla. Dell’operazione furono incaricati i tre ingegneri che, due anni prima, avevano provveduto a trasportarla fino al lago e che, prima di eseguire l’ordine, la caricarono di sabbia e coprirono i motori con uno spesso strato di grasso. Il Gotzen rimase così sul fondo fino al 1924 quando gli Inglesi, che controllavano ora il Protettorato del Tanganyka, lo recuperarono trovando motori e struttura in buone condizioni. Nel 1927 il battello riprese così servizio con il nuovo nome di Liemba (come riferisce David Livingstone, Liemba era una parola probabilmente della lingua Fifa – una delle popolazioni della regione – con cui anticamente veniva indicata la parte sud del lago). Nel 1961, con l’indipendenza della Tanzania, le gestione della nave passò prima alla Tanzania Railways Corporation e quindi alla Marine Service Company Limited, assicurando un collegamento continuo, via terra e via lago, da Dar es Salaam agli altri Stati della regione. Tra il novembre 1996 e il maggio 1997, poi, la Prima Guerra del Congo spinse migliaia di profughi a riversarsi nei paesi vicini e, al termine del conflitto, la Liemba venne impiegata dall’UNHCR per riportare in Congo parte degli oltre 75.000 rifugiati. Da allora ha continuato a collegare Kigoma, in Tanzania, con Mpulungu, in Zambia, prima con frequenza settimanale e, dal 2010, ogni due settimane.

Oggi l’incontro dei passeggeri con la Liemba passa attraverso Fortunata. Tra le 9 e le 12 dei giorni precedenti la partenza, quando non chiude “per colazione”, Fortunata presidia la biglietteria del piccolo porto di Kigoma. Un gabbiotto di lamiera che lei riempie completamente con la sua mole imponente e con la risata squillante. Ci vede da lontano e, senza chiedere nulla, inizia a preparare i biglietti per una cabina doppia di prima classe. Sul ponte superiore, 100 dollari a testa per due giorni di navigazione. Le cabine doppie sono 9 in tutto, e finiscono regolarmente ai pochi turisti in cerca di un brivido d’Africa. Per gli altri ci sono le anguste cabine sottocoperta o, per qualche scellino, un passaggio ponte all’aperto. Due giorni dopo verso le 3 del pomeriggio, quando viene aperta la cancellata che conduce al molo e la folla in attesa si riversa verso la nave, la banchina si trasforma in una passerella vociante di khanga, i teli multicolori utilizzati come abiti. Le donne sono infatti in netta maggioranza, cariche di involucri due volte più pesanti di loro. Valigie, ceste, sacchi e sacchetti, borse, pacchi e contenitori di ogni genere. Alla fine, come ci dice il vicecomandante Yusuf, i passeggeri sono circa 400. Compresi 6 muzungu. Poco dopo di noi salgono Dave e Katherine, una coppia di Liverpool. Lui è un ingegnere informatico, in Tanzania per un paio di mesi per lavoro, e la moglie ha deciso di accompagnarlo. Spiccano da lontano in mezzo alla folla, impeccabili in pantaloni di lino e camicia bianca perfettamente puliti e stirati. Una terza cabina è invece destinata a due biondissime sorelle francesi munite di una grossa telecamera e di attrezzatura fotografica varia. Sono cresciute in Gabon, e anche se vivono ormai da qualche anno in Europa, l’Africa è rimasta il centro del loro mondo. Sono al terzo viaggio sulla nave in due mesi, e prima ancora della partenza sembrano già impegnatissime in riprese ed interviste a passeggeri ed equipaggio. Girano un documentario autoprodotto proprio sui 100 anni della nave e sulla sua storia. Ma il loro sarà in realtà solo l’ultimo di una lunga serie. Già nel film del 1951 The African Queen, interpretato da Humphrey Bogart e Katharine Hepburn, infatti, anche se la Liemba non compare, è facile riconoscerla nella nave da guerra tedesca Luisa, attiva sul Tanganyka, che i due protagonisti cercano di affondare. Nel documentario Pole to Pole realizzato dalla BBC negli anni ‘90, poi, l’attore e presentatore inglese Michael Palin, in viaggio dalla Scandinavia al Sud Africa, utilizza proprio la nostra imbarcazione per spostarsi dalla Tanzania allo Zambia. Ed è di pochi anni fa la produzione statunitense Liemba, a documentary film, con voce narrante della cantante dello Zimbabwe Chiwoniso Maraire. Ma se per i turisti occidentali il vecchio battello ha il fascino di una star, per tutti gli altri è invece l’unico mezzo di trasporto ancora in attività sul Tanganyka. E infatti porta veramente di tutto. Un mercato galleggiante destinato a rifornire i villaggi sparsi qua e là sulle rive del lago. Mucchi di ananas, caschi di banane, sacchi di farina, di sale e di cemento, pesce essiccato, detersivi, materassi, taniche, ventilatori, vestiti. Ci sono anche due grandi divani, alcuni motori fuori bordo ed un paio di moto. Gran parte dei passeggeri, non potendosi permettere una cabina, si sistema in equilibrio precario in mezzo alla montagna di merci che sommerge letteralmente il ponte principale. Mentre attendiamo che terminino le operazioni di carico scambiamo due chiacchiere con François, un allampanato ragazzo congolese che si esprime in un miscuglio di francese, inglese e swahili. Si definisce un “businessman”, ma non è per niente chiaro di cosa si occupi realmente. Accanto a lui, a cavalcioni sul suo grande sacco di pesce secco, c’è Johnson, poco più che un bambino, e più in là una signora minuta che sistema con cura la poca frutta che, se sarà fortunata, riuscirà a vendere durante i due giorni di viaggio. Più tardi si aggiunge a noi Allan, un osservatore sudafricano di ritorno dal Burundi. Sta rientrando a casa, e da Mpulungu proseguirà in bus, attraverso Zambia e Botswana, fino a Johannesburg. Ci racconta a lungo, con emozione, la drammatica situazione in cui si trovano le regioni a nord del lago. La guerra dimenticata che da anni dilania il Kivu, a pochi chilometri da qui sull’altra sponda, il dramma dei campi profughi, le tensioni che continuano a segnare il Burundi. Poi, all’improvviso, il potente urlo della sirena annuncia la partenza. Ancora una volta, dopo un secolo, la regina del Tanganyka è pronta a prendere il largo.

GLI AUTORI

Roberta Melchiorre, dopo un’infanzia “nomade” tra Piemonte e Liguria, si stabilisce con la famiglia a Vignale Monferrato, paese noto per la danza e il vino. Si laurea in Lingue e letterature straniere con indirizzo slavistico e inizia a viaggiare negli anni dell’università, vivendo per lunghi periodi a Mosca e a San Pietroburgo. Quando incontra Fabio, inizia un sodalizio di vita e di viaggi che dura ancora oggi. Si occupa di progetti internazionali al Politecnico di Torino e, da qualche anno, è una felice insegnante volontaria di italiano per stranieri ad Alessandria.

Fabio Bertino nasce a Torino, dove trascorre l’infanzia con continue fughe sulle colline di Montemagno d’Asti. Lavora come impiegato e, ottenuta la laurea in Economia e commercio, cerca di rimediare con quella in Antropologia culturale. Dopo alcuni viaggi in solitaria, incontra Roberta e insieme iniziano il loro personale giro del mondo. Roberta e Fabio vivono fra Torino, Alessandria e il “loro” Monferrato. Condividono le passioni per la scoperta del mondo, la scrittura di viaggio e la fotografia. E la naturale conseguenza di queste passioni sono appunto questi racconti’.

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World zapping‘ edito da GoWare (E. 4,99).  I racconti di viaggio di Roberta Melchiorre e Fabio Bertino si trovano in vendita in e-book su:

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