Testo e foto di Angela Mori. 

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“Lettere dal Giappone” è un interessante esperimento letterario e fotografico che vede come protagonista Angela Mori in un taccuino “a puntate” in cui emergono piccole impressioni, scene ed esperienze di viaggio vissute da Angela attraverso la Terra del Sol Levante. CIOTTO è il  secondo racconto tratto dalle sue “lettere” .

La prima volta e’ stato un caso.

Seduta in treno, il mio sguardo ha accompagnato l’incedere sicuro del controllore che con assoluta padronanza della scena, e’ arrivato in fondo alla carrozza e prima di aprire le porte scorrevoli per accedere all’altro vagone, si è voltato indietro verso noi passeggeri e con un cenno del corpo in avanti ci ha salutato con un inchino.

Un gesto di un’eleganza sconvolgente.

Da quel momento, tutte le volte che ho preso il treno, ho tenuto gli occhi fissi su di lui per non perdermene neanche uno. Nemmeno quando, per ragioni a me sconosciute, e’ andato avanti e indietro dalla carrozza  un sacco di volte, in poco tempo, e tutte le volte non ci ha fatto mancare quel saluto.

Pochi giorni fa a Matsuyama, uscendo da un negozio dove avevo comprato delle bacchette, casualmente mi sono voltata indietro verso la commessa.

Era sulla porta, rivolta verso me che me ne stavo andando, ingessata in un inchino a 90 gradi, con lo sguardo rivolto a terra. Mi sono sentita allo stesso tempo onorata e in dovere di contraccambiare, anche se il mio non e’ stato certo all’altezza della situazione, nonostante l’artrosi conferisca alla mia schiena un certo stile.

In Giappone si ha la sensazione che anche il minimo gesto apparentemente banale sia parte di un sistema che non lascia spazio all’improvvisazione. Tutto deve essere previsto e prevedibile e la sequenza delle azioni che muovono questa societa’ non deve avere intoppi, inciampi.

Adesso capisco perche’ un Paese con un rischio sismico altissimo come questo, riesce a gestire un evento cosi’ catastrofico come il terremoto con assoluta perfezione: hanno gia’ previsto tutto. Nemmeno il terremoto puo’ permettersi di uscire dallo schema. Fa parte della natura di questo popolo.

Ma arriva il momento in cui anche loro falliscono e si arrendono, mostrando la debolezza umana del limite.

“Ciotto” rispondono quando gli chiedi qualcosa e non sono in grado di dare una risposta.

“Ciotto” vuol dire tutto e niente. “Boh”, “mah”, “non so”, “chissa’”, “il mondo sta girando al contrario e io non sono preparato”, “vedi tu”. E molto altro ancora.

“Ciotto” e’ la resa incondizionata. La bandiera bianca che innalzano di fronte all’imprevedibile che la straordinaria imperfezione della vita non puo’ incasellare nel loro schema.

Quando dicono “ciotto” la tensione del volto si allenta. E lascia il posto ad un sorriso beffardo.

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Viaggiare è faticoso. Non mi piace fare lo zaino. Quando si avvicina la partenza vorrei scappare. Non mi piace neanche scrivere. Ma quando parto poi, provo un senso di ebbrezza che mi fa dimenticare tutto e inviare  agli amici delle lettere, raccontando quello che vedo, gli incontri che faccio e l’emozioni che provo, mi riscalda il cuore. E anche a loro.
Tra un viaggio e l’altro, lavoro come custode in un museo…e il viaggio continua ogni volta che individuo un visitatore straniero in sala e cerco di capire da quale parte di mondo proviene.
Tutto ciò che è distante culturalmente da me mi affascina.
Ho 48 anni, collaboro con l’Associazione di Amicizia Italo-Palestinese, Associazione EST (Educazione, Solidarietà, Terzomondo) e  AIDIVI onlus (Associazione Istruttori Disabili della Vista).