Testo di Isabella Mancini/ Foto CC

Chatila

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Fa caldo e quando arrivi a Beirut, tutta la fantasia compressa per anni, tra letture e film, emerge in una fascinazione che ti fa vedere bella anche una città che, tutto sommato, è un ingorgo di fili elettrici, macchine, donne e uomini e clacson. E’ una di quelle città dove è facile trovare la strada per il Barométre, ad Hamra, dove si tira tardi tra artisti, pittori e musicisti di tutto il mondo lontano dal caos mainstream di Gemmayzeh, dietro piazza dei Martiri, o del quartiere cristiano di Achrafieh, nella parte orientale della città.

Ma è anche una città che continua a vivere la storia, una storia fatta di conflitti e tensioni, armi e palazzi sventrati, dove gli aerei tornano a far rombare i motori nella notte e dove i droni sibilano di giorno. E’ una città che porta dentro di sé mille storie di morti, assassini e vittime, e che ha una memoria di ferro, che sia il ferro delle chiavi di case abbandonate o di pallottole scampate. Una determinazione che spesso è sostenuta anche dall’estero come nel caso del “Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila” che il giornalista del Manifesto, Stefano Chiarini, aveva voluto alla fine degli anni novanta e che ha portato, tutti gli anni, anche dopo la scomparsa di Chiarini, decine di italiani in questo campo profughi tristemente famoso per il massacro del 1982. La commemorazione delle vittime avviene a cavallo dei tre giorni in cui il massacro fu compiuto dalle milizie cristiano falangiste: il 15 settembre del 1982 i due campi profughi furono chiusi, le milizie entrarono il 16 settembre e ne uscirono solo il 18 lasciando a terra i cadaveri di centinaia di persone (il numero definitivo è tutt’oggi sconosciuto, varie fonti lo attestano comunque tra i 500 e gli 800 morti). La delegazione italiana quest’anno oltre che incontrare le associazioni presenti sul territorio, come Beit Aftal Assomud, incontreranno anche delegazioni dei nuovi profughi palestinesi, fuggiti dalla Siria in guerra e rifugiatesi in Libano. Quello organizzato dal Comitato è un viaggio di solidarietà politica e culturale ma anche economica visto che verrà lanciata una sottoscrizione, a breve, per raccogliere fondi da destinare ai campi profughi. Partenza prevista per il 13 e rientro per il 21 settembre. Per informazioni contattare il Comitato direttamente scrivendo una mail all’indirizzo musolino.mau@gmail.com, martaturilli@yahoo.it.

Per capire cosa sono i campi profughi di Sabra e Chatila oggi vi suggerisco la visione del documentario di Marco Pasquini “Gaza Hospital” storia di un ospedale dell’Olp che dopo il massacro del 1982 si è trasformato in un campo profughi a sua volta e dove tutt’oggi vivono, stretti in nove piani scalcinati, centinaia di persone. Un documentario fatto con amore e passione che rende giustizia all’incredibile forza sovvertitrice dell’esistenza di questi profughi.

Chatila ingresso del campo, 2005

Chatila ingresso del campo, 2005, Foto in Creative Commons