Testo e foto di Michele Pasquale

Nelle steppe mongole sopravvive il modello abitativo tramandato dai nomadi che si riunirono attorno Gengis Khan: la “casa mobile” rivestita di feltro (ger, in mongolo; yurta, in russo). 

Sorretta da una struttura in legno di diametro variabile, una ger viene esternamente rivestita con panni ricavati da pelli di pecora, internamente decorata da favolosi tappeti (shirdeg, presenti anche nella yurta kazaka). Di norma, una famiglia possiede due ger: una adibita a cucina, l’altra a soggiorno e camera da letto. Non è necessario bussare per entrare in una ger, la porta è quasi sempre spalancata. A nord dell’abitazione è solito trovarsi un altare (khoimor) in cui viene custodita l’immagine della divinità (turul) a protezione della famiglia (ger bul). L’apertura superiore della ger ha «un’accezione cosmogonica», in quanto «giuntura fra le forze celesti e l’interno della tenda […] fondamento del nucleo famigliare1». Al centro di entrambe si trova una stufa, ovvero il “sacro fuoco” (zuuh) – essenziale per scaldarsi, cucinare, lavarsi -, che viene alimentato con sterco di capra secco, raccolto nei pascoli dai bambini: l’ovino (yamaa), la cui carne è fulcro della dieta dei pastori, apre e chiude una microeconomia perfettamente sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Tuttavia la plastica, introdotta negli ultimi anni per praticità, trasportabilità e basso costo, ha sconvolto questo delicato equilibrio creando piccole discariche, abbandonate dopo gli spostamenti.
Vengono cucinati questi ingredienti: carne (mah), riso (budaa), farina (guril), patate (tums), carote (luuvan), cavolo (baitsaa), barbabietola (ulaan baitsaa), latte (suu), uova (undug) e verdure (nogoo) nella stagione estiva – pomodori (ulaan looli), broccoli (tsetsegt baitsaa suu) – , cocomero (urgus hemh). Si chiacchiera in prossimità dello zuuh, mangiando una sorta di biscotto duro (boortsog) ricavato da yogurt fermentato e solidificato all’aria della steppa (aaruul); dallo stesso prodotto, per distillazione, si può ottenere anche una vodka artigianale. Da non dimenticare, il famoso latte di cavalla fermentato (airag, 3% alcool). Sul boortsog viene spalmato burro di capra (yamaanii urum) o di yak (sarlagiin urum), “antipasto” precedente i ravioli ripieni di carne di capra (buuz), i noodles fritti (tsuivan) o in zuppa (guriltai shul), lo stufato di capra (makh). Parlando di semplici zuppe (shul) e sorseggiando tè verde della Georgia (chai) miscelato con latte e sale (suuteitsai), salta subito all’orecchio un termine ricorrente: «”ulaan” significa “rosso”. Il nome della nostra capitale, Ulaan Baatar, vuole per l’appunto dire “eroe, guerriero rosso”. Deriva 1 Vito Bianchi, Gengis Khan. Il Principe dei Nomadi, Laterza, Milano, 2005, pg. 21. dall’eroe socialista Sukhbaatar – ovvero “eroe dell’ascia” – che guidò la rivoluzione socialista nel ’21» spiega Perla, interprete dal mongolo all’inglese. Il cibo, unito al linguaggio e alla convivialità, può svelare connessioni importanti partendo da piccoli particolari, persino con la storia di un Paese.
Qui, tutto è in costante movimento, temporaneo, volto al cambiamento: ger, perfetto riassunto dello stile di vita del fascinoso, fiero, affatto triste pastore errante dell’Asia2.

L’autore di questo reportage è Michele Pasquale, antropologo e fotogiornalista freelance. Ci manda, a corredo del suo articolo, anche tre link per approfondire i temi da lui trattati per approfondire l’argomento.

Vito Bianchi, Gengis Khan. Il Principe dei Nomadi, Laterza, Milano, 2005:
http://www.laterza.it/

Figli delle Nuvole – Le popolazioni nomadi della Mongolia: http://youtu.be/QJOs3kBPLXc

Massimo Zamboni /Giovanni Lindo Ferretti, In Mongolia in retromarcia, Giunti , Milano,
2000:
http://www.massimozamboni.it/scheda_libro.asp?ID=4

Orrori da Gustare Mongolia: http://youtu.be/Tk8_A1TsJjA