Tradotto in italiano, il libro della scrittrice francese Lydie Salvayre, vincitrice del premio Goncourt: Non piangere. Racconta la storia di una ragazza spagnola di 15 anni in fuga dopo la caduta della Repubblica Spagnola e la vittoria dei franchisti. Alla fine della sua vita, Montse racconta quando accadde in quell’anno tragico, il più importante della sua vita. In realtà Lydie racconta la vicenda di sua madre. E il filo della memoria fa apparire nella mia mente anche il ricordo di un’altra madre, quella della mia amica Manu…
Testo di Valeria Cipolat
Spagna, seconda metà degli anni ’30, si combatte la Guerra Civile Spagnola: la guerra di tutte le guerre, la lotta del Bene verso il Male. Migliaia di volontari internazionali arrivano da tutto il mondo per cercare di fermare la furia del fascismo che sta dilagando in tutta l’Europa.
In questa cornice si svolge la storia di Non Piangere romanzo di Lydie Salvayre, a dieci anni dalla sua pubblicazione in Francia. La storia di Montse, giovane contadina di un paesino sperduto della Spagna, s’intreccia con i racconti di George Bernanos, scrittore francese, monarchico cattolico, che con il suo libro I grandi cimiteri sotto la luna aveva rivelato le atrocità perpetrate a Maiorca dai nazionalisti, fedeli a Franco; il tutto con il beneplacito della Chiesa spagnola.
La traduzione (magistrale) è stata curata da Lorenza Di Lella e Francesca Scala, che collaborano spesso con la visionaria casa editrice Prehistorica. Inizialmente la lettura può risultare un po’ ostica, ma si comprende in seguito che il mix di lingue è necessario per immergersi nel linguaggio della protagonista. Sono stati mantenuti gli intercalari, certe espressioni in spagnolo, che caratterizzano l’idioma ibrido della protagonista, che aveva dovuto imparare da zero la lingua della nazione ospitante.
Il ‘fragnol’ – lingua impura ma poetica della protagonista costretta all’esilio in Francia, si contrappone alla lingua ‘perfetta’, per sintassi e vocabolario, di Bernanos.
(…) José è convinto che sua sorella sia stata offesa. La Spagna del ‘36 pullula di gente offesa. Ha un’aria davvero umile! Ha un’aria davvero umile! Ma chi si crede di essere quel cabrón! Se ne pentirà amaramente quel sinvergüenza! Gliela faremo rimangiare la sua schifosa frase del cazzo! Gli tapperemo la bocca, a quel burgués! (…)
Le vicende di Montse sono tratte dalla storia della famiglia di Lydie Salvayre, autrice di questo libro necessario. La sua doppia anima ha favorito la costruzione del suo mondo letterario. Ha imparato a ‘Nager entre deux rives’, diceva Chateaubriand, a nuotare tra due sponde.
I racconti della protagonista, narrati in tarda età alla figlia, rappresentano per lei stessa l’ ‘essenza della vita’; quel che più le è rimasto impresso della sua intera esistenza. Montse va in città! È ‘grazie’ alla guerra che scopre i caffè, il cinema. Scopre che anche le donne possono bere, fumare, pensare. Scopre insomma la vita. Si ritrova catapultata in una realtà inimmaginabile fino ad allora lei, contadina di uno sperduto paesino della Spagna rurale, che fino a quel momento aveva trascorso la sua giovane esistenza nella povertà della sua casa. Ha 15 anni; in città soffia il movimento libertario, le Grandi Speranze. Quell’estate del ‘36 segnerà per sempre la sua vita. ‘C’era fermento nell’aria. Tutti credevano che sarebbero state superate le differenze economiche e si riponevano speranza e fiducia nella società di allora, improntata sul mero mercantilismo’.
‘È una ricostruzione romanzesca’, confessa Lydie Salvayre. ‘Mia madre era già mancata da qualche tempo, ma inserirla nel romanzo è stato un modo per farla rivivere’.
Lydie è una bella donna che non dimostra affatto i suoi settant’anni anni. Minuta ed elegante nel suo outfit nero, indossa un sorriso sincero che evidenzia con un filo di rossetto rosso. È una fan sfegatata di Carlo Emilio Gadda. ‘Vous avez de la chance en Italie à l’avoir comme écrivan’, siete fortunati ad averlo come scrittore, ci tiene a sottolineare.
In contrapposizione ai racconti di Montse, la crisi ideologica di Bernanos, testimone delle atrocità commesse dai franchisti con l’avvallo della Chiesa, che comincia a dubitare dei dogmi che gli erano stati inculcati fin da giovane durante la sua militanza di destra. I dubbi cominciano a fare breccia sulle sue convinzioni originarie. ‘Bisogna accogliere la verità da ovunque essa provenga’, aveva già detto Lydie Salvayre in un’intervista di qualche tempo fa.
Mentre leggo il libro, mi viene in mente la famiglia di Manu, la mia amica di Arles, nel sud della Francia. Alla fine degli anni ’70, dopo la caduta di Franco, la nonna catalana era rientrata a Barcellona. Le scrivo, le chiedo se conosce questo libro, pubblicato in Francia più di dieci anni fa. Mi risponde quasi subito. ‘Ne ha sentito parlare, ma non l’ha letto’, mi dice. Mi manda un link di Google. Anni fa, prima di morire, la nonna aveva scritto di suo pugno il racconto dei suoi anni di esilio, dal giorno in cui era arrivata in Francia. Leggo le prime pagine. Da quando aveva varcato la frontiera, al giorno del suo ritorno in Spagna, erano passati esattamente quaranta anni: 8 febbraio 1939 – 8 febbraio 1979. Anche lei era partita a vent’anni con una figlia di pochi mesi in braccio; aveva intrapreso un viaggio infinito prima a piedi e poi in treno. Un fiume di donne con i loro bambini, separati dai mariti e fratelli, che venivano invece internati nei campi predisposti dal governo francese.
Montse invece, dopo la caduta del Caudillo, era rimasta in Francia. Lydie Salvayre nasce nel Paese che aveva accolto la madre e diventa uno degli esponenti più importanti della narrativa francese. A differenza di altre autrici contemporanee, altrettanto importanti come Annie Ernaux, Maylis De Kerangal e Valérie Perrin, ‘lei rappresenta ‘la pecora nera’, suggerisce lo scrittore Marcello Fois nella prefazione al libro. Lydie ha reagito a questa definizione citando Baudelaire, rivendicando le plaisire aristocratique: il piacere aristocratico del non-piacere: la filosofia deve deludere. ‘Qualche volta bisogna deludere il pubblico per scuoterlo’, conclude.
Con Non piangere, scritto con un lessico ‘imperfetto’, Lydie Salvayre si è aggiudicata, nel 2014, il prestigioso Premio Goncourt.
Lydie usa spesso l’ironia come un’arma per denunciare i fallimenti della società. Descrive crudemente di accadimenti raccapriccianti ed è capace di smorzarne la ferocia utilizzando proprio l’ironia. L’aiuta Blaise Pascal: ‘filosofare è farsi beffa della filosofia’, per Lydie vale anche per la letteratura.
Mi è simpatica questa donna, che in un’altra intervista confessava che aveva scritto un libro, La conferenza, perché le ‘costa molto parlare in pubblico’. Afferma che il mondo ‘pullula di persone che dicono sciocchezze e si vantano di quanto affermano’. Il protagonista di quel romanzo invece è un personaggio ‘triste ma liberato, un eroe che non è un vero eroe… quasi un moderno Don Chisciotte, ‘animato da una passione che lo guida nella sua avventura’.
Guidata dai consigli della madre ‘il faut avoir un travail pour vivre’, Lydie Sylvaire doveva avere un lavoro che la rendesse indipendente. E così, prima di dedicarsi interamente alla scrittura, per anni è stata un medico a stretto contatto con pazienti psichiatrici, internati in strutture dove lei stessa viveva quattro giorni alla settimana. In mezzo a loro ha imparato che il successo e l’ego non sono importanti. Sono stati i suoi pazienti a insegnarle uno sguardo privo di giudizio: in loro non c’è giudizio estetico, razziale o altro. Sta lì l’insegnamento del suo primo lavoro. Una volta accumulate esperienze – ‘perché sono queste che ci permettono di scrivere’ –, solo intorno ai 40 anni Lydie si è autorizzata a scrivere. E ricorda che Cervantes aveva 56 anni quando ha iniziato a scrivere, pertanto esorta tutti: non è mai troppo tardi!
Lydie è stata anche psichiatra infantile, e così dice con sicurezza: ‘tous les enfants sont des prisonnières politiques’.
La guerra è perduta, il sogno repubblicano della Spagna è stato spazzato via. Il 20 gennaio del 1939 Montse cominciò a camminare. Con la figlia in una carrozzina e, in una veligetta nera, pochi ricambi per la piccola:“Non piangere figlia mia, non piangere pulcino, non piangere tesoro, per poi chiedersi, quando si rialzava tutta sporca di terra, se avesse fatto bene a far subire alla piccina quell’apocalisse. Ma mia madre aveva diciassette anni e voleva vivere. Così camminò per giorni e giorni con la bambina sulla schiena verso un orizzonte che sembrava migliore, oltre le montagne. […]”. Un mese dopo, Montse, stremata, con la bambina sulla schiena, raggiunge la frontiera con la Francia. Per settanta anni vivrà in un piccolo paese della Linguadoca. La figlia, Lydie, farà passare decenni prima di scrivere la storia di sua madre e la sua.
Improvvisamente mi chiedo se Montse abbia incrociato nella sua fuga la nonna della mia amica Manu, o se abbiano attraversato gli stessi posti, percorso le stesse strade. Se abbiano provato le stesse paure, sentito lo stesso freddo, mentre abbracciavano la propria bambina. Sì, io… credo proprio di sì.