Testo e foto di Eliana Petrizzi

La bella stagione è arrivata: nelle ore lunghe, negli appuntamenti che si rinviano, nelle gambe accavallate delle donne, e in certi abiti di garza che le fanno nude senza essere svestite.
Da queste parti c’è disordine ovunque, un disordine cresciuto negli anni senza censure, senza controlli, senza l’indignazione di nessuno; incurabile, perché nessuno lo ha mai creduto una malattia. Ma c’è pure chi non se ne cura: le formiche vanno tra i piedi della gente, portando i chicchi di grano sul dorso come i Santi in processione.
Peppino passa la vita seduto sulla panchina che dalla piazza guarda la provinciale. Non parla, non ride, non vede; se ne sta tutto il giorno come sorpreso da un infarto. Più avanti, una Madonnina dà le spalle ai passanti, pregando solo per gli abitanti di casa Russo.

Dal balcone di mia madre si vede la parte vecchia del paese, col viale di ciottoli che era un tempo l’alveo del fiume. Conto le finestre aperte, con lampade sfiorate da una figura che non si affretta.

Davanti al bar stanno i soliti vecchi. Di fatto non si capisce cosa fissano: non c’è nessuno, solo forme spente in un tremore di miraggio. Eppure, osservandoli bene, capisco che loro solo così sono veramente felici. Ogni giorno dopo pranzo prendono una sedia e stanno all’aria aperta, censori impeccabili delle persone che prima c’erano e poi non ci sono più, dello straccio al balcone prima bagnato poi asciugato, di uno che prima stava da solo e adesso è in compagnia, di un’Ape che ieri aveva un graffio e oggi ne ha due. La vita per loro è un raccolto che dà sempre qualche frutto. Tre ragazzi giocano a pallone scalzi al centro della strada, uomini imprecano a carte davanti al circolo, alla radio una canzone di Gianni Morandi.

16.7 (5)

Le ali trasparenti di una tortora in volo sui tetti, il rombo di un aereo che sale, un trattore tra i noccioli.

Al tramonto, la gente resta sulle panchine del parco, in un fresco di basilico e pioggia caduta lontano. Molti di quelli che stanno fuori gli scalini di casa li conoscevo da ragazzi: hanno negli occhi l’espressione di chi ha cercato per tutta la vita di dire qualcosa, ma non ha mai trovato le parole. Vengono a consolarli le case del paese coi loro grigi pazienti e sicuri, e la luna che sale, col passo maestoso delle donne in cammino nel deserto.

 

Davanti al circolo sono arrivati l’elettricista, il meccanico e il calzolaio. Si sono seduti senza dire una parola, fissando la strada su cui in un’ora sono passati solo due gatti e l’auto a tutta di uno straniero. A un certo punto l’elettricista ha detto che a lui piacciono di più le sere come questa, quando non c’è chiasso, né rumori né gente che va avanti e indietro. Che poi, aggiunge il meccanico, a che serve andare mille volte avanti e indietro? La strada è così corta che se giri la testa una volta a destra e una sinistra il giro è finito, e un giro qui basta e avanza.

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