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Come ragni. Appesi nel bianco del marmo per scoprire e scovare le linee di frattura della roccia. Rimangono sospesi nel vuoto per ore, giorno dopo giorno. Sono i tecchiaioli delle cave di marmo delle Alpi Apuane. Operai (ebbene qualcuno esiste ancora!) dediti alla pulizia del fronte della cava, la tecchia, appunto, in dialetto carrarino. Fino agli anni ’90 erano gli stessi cavatori a calarsi negli strapiombi imbragati a una rudimentale corda di canapone. Adesso lo fanno professionisti con tecniche ed equipaggiamento mutuati dall’alpinismo e dalla speleologia. Sono riuniti in una cooperativa: la Apian, di cui fanno parte tre squadre da quattro persone (più l’amministrativo). Girano di cava in cava, fermandosi due o tre mesi: tanto serve per mettere in sicurezza il fronte roccioso. Un’operazione che svolgono con ferri antichi: il martello, con cui saggiano la tenuta della parete e il paletto, con cui scalzano massi e placche incombenti sui piazzali di lavorazione.
Una professione antica e faticosa a cui ha dedicato il suo lavoro di documentario Luca Galassi, giornalista e documentarista che proprio a Carrara è cresciuto. Galassi li ha seguiti per mesi riprendendoli a lavoro, facendosi raccontare le tecniche, la storia, le emozioni, e scoprendo il rapporto totalizzante che questi lavoratori instaurano con la montagna.

Il docuementario è stato già proiettato in anteprima a Carrara due settimane fa ma adesso si replica, oggi, 31 agosto, alle 21,15, alla Salita del Baluardo di Carrara, ospite del cineforum dell’assemblea permanente.

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