Testo di Isabella Mancini/ Foto di Gabriele Berti e Andrea Foligni

Se le contendono Veroli (Fr) e Saintes Maries de la Mer. Il primo è luogo di sepoltura delle spoglie di almeno una delle “tre Marie”, citate nei Vangeli come presenti alla crocifissione e prime a sapere della resurrezione di Cristo; il secondo la terra in cui le Sante profughe, sfuggite dalle persecuzioni in Terra Santa, trovarono approdo. Non ci potrebbe essere giorno migliore che la vigilia della Giornata Internazionale dei Profughi per parlare di Saintes Maries de la Mer, luogo fotografato, vissuto, ambito, desiderato. Le Sante “bianche” portate in processione, la Santa nera diventata patrona dei gitani che per i giorni a cavallo del 24 maggio si danno appuntamento in questo paesino della Provenza per ripetere un rito di rinnovamento. La Santa Nera non è riconosciuta come tale da nessuna confessione. C’è chi la collega alla Dea Kali ma il suo nome emerge solo nel 1521 tra le tre Marie nonostante la tradizione sia alquanto antica e la devozione alla sua statua risale all’800 A lei i Tamales de Chipil dedicano il brano di apertura del cd Biandilò ò Chavò: “Sara Kali, proteggi il mio sentier, umile e fatto di amor…”

SocialEyes, è un’associazione fiorentina che si occupa di fotografare, e documentare, il sociale. Il giorno della commemorazione della Santa erano a Saintes Maries de le Mer per buttare l’occhio oltre il confine che divide i santi di serie “a” e di serie “b”, i profughi in accoglibili o meno. Gli scatti presentati sono firmati da Gabriele Berti e Andrea Foligni che hanno guidato il viaggio fotografico oltralpe.