Testo di Giulia Buriano Aimonetto
Fotografia di Giulia Brunella

Per questa passeggiata non c’è bisogno di impostare la sveglia presto, di avere l’ansia che il sole caldo si affretti ad andarsene, di correre per riuscire a fare tutto in tempo. È un percorso tranquillo, immerso nel verde e che regala una vista a 360° su quel suggestivo specchio d’acqua turchese del lago di Ceresole. Il giro lago, che si protrae per 7 km, è per chi, dopo tanto tempo rinchiuso, vuole pregustare quella sensazione di libertà, che tanto ci è venuta a mancare in questi mesi di clausura. In un giorno di sole nel nostro Piemonte, allora tinto di giallo, abbiamo deciso di recarci lì, a passeggiare nel silenzio del vento, che soffiava calmo, per ritrovare un po’ di quella magia della montagna e anche un po’ di ispirazione, svanita nella nebbia di una claustrofobica quotidianità.

Abbiamo lasciato le nostre case verso le nove e trenta, contando di raggiungere Ceresole in un’ora di macchina da Valperga, un paesino nel cuore del Canavese, dove abita Giulia, la fotografa. Il percorso per arrivare a Ceresole, non è così semplice, almeno per noi neopatentate. Passato il piccolissimo comune di Noasca, in cui potrete sostare per ammirare la splendida cascata, vi attendono quattro tornanti molto larghi, che d’estate sono percorsi da ciclisti impavidi e che nel 2019 sono stati solcati dai concorrenti del Giro d’Italia. Noi, intanto, speriamo di cavarcela con la nostra Fiat Punto del 2009, che ha qualche acciacco e che fa un po’ di resistenza, ma che con un po’ di sforzo riesce a portarci oltre. Prima di cantare vittoria però ci attende un altro ostacolo, la galleria di Ceresole lunga circa 3 km e con un dislivello di quasi 300 m. Per i neofiti sembrerà un’infinita distesa di buio nero come la pece, ma le sorprese non tarderanno ad arrivare. Superato il primo tratto di oscurità, la galleria inizierà a regalare piccoli scorci da cui sbriciare i crinali delle montagne, che presto ci abbracceranno completamente. Anche per chi c’è già stato tante volte, l’uscita dalla galleria è sempre un momento emozionante. Gli occhi abituati ad una luce flebile vengono investiti da quella intensa dell’esterno, dai colori di Ceresole, dalle sue baite rustiche, dalle montagne che lo sovrastano e dal vivace lago, su cui il sole si diverte a disegnare zampilli di luce.

Abbiamo parcheggiato l’auto ai piedi della celebre diga e, dopo esserci attrezzate a dovere, abbiamo iniziato la passeggiata, che parte proprio da lì. O meglio, quello è uno dei tanti punti da cui si può iniziare ed è proprio questo il bello del percorso, esso è un anello circolare, senza vincoli di inizio o di fine, solo di perpetuo ricongiungimento. Abbiamo deciso di iniziare dalla zona più riparata, quella all’ombra dei grandi alberi che circondano il lago. Stranamente non c’era quel vento pungente tipico delle giornate assolate, ma una brezza piacevole e non invadente, che ci ha accompagnato per tutto il tratto. È il punto più tranquillo dell’intero percorso, la gente che passa è poca, probabilmente perché timorosa del freddo, si potevano incontrare solo alcuni sportivi che tentavano di praticare lo sci di fondo su quella sottile lastra di neve e ghiaccio che ancora resisteva ai raggi solari. Se si stava in silenzio, si potevano sentire le zampettate di alcuni animali e se fossimo salite su una riva chissà, magari ne avremo visto uno. Dopo una buona ora e trenta di passeggiata sulla sponda di destra, ci siamo ricongiunte con la strada asfaltata, percorrendola per pochi istanti e per poi ripassare sul terreno adiacente al lago. Lì la situazione si inverte, c’è molta più gente che chiacchiera, schiamazza e fa le battaglie con le palle di neve, o, almeno, con quello che della neve resta. Era da tanto che non si respirava un’atmosfera così normale, le persone, seppur a debita distanza, ti sorridevano e salutavano, senza stare chine nei loro pensieri dietro quella maschera che ci ha reso anonimi. Quei brevi frangenti hanno riacceso un po’ di speranza ed ora che il mio Piemonte è colorato di rosso, li ricordo con profonda nostalgia. Superata più della metà di quella sponda, ci siamo fermate a mangiare un boccone in un bar con terrazza panoramica sui monti. Eravamo affamate. Abbiamo diviso un tagliere con salumi e formaggi tipici e ricordo quanto l’ho trovato incredibilmente buono, non so se per la fame o per il contesto, anche quello familiare. C’erano anche lì delle persone, chi, come noi, rientrava da una passeggiata, chi si rivedeva con un paio di amici.

Quel senso di ritorno alla vita è stata la cosa più bella del giro lago, è la stessa sensazione di abbracciare una vecchia amica. Finito di pranzare, ci siamo ricongiunte con l’inizio del nostro percorso e quando siamo risalite in auto, mi sono voltata ancora una volta a guardare quel lago, che inconsapevolmente mi aveva regalato ciò di cui avevo più bisogno, la vecchia consuetudine di stare e di essere nel mondo.