Testo di Claudia Mezzapesa 

Foto di Marco Cantini, Raffaella Di Gregorio, Claudia Mezzapesa e Marco Turini

Articolo in collaborazione con Nip Magazine, on-line bimestrale, free press, che si occupa di paesaggio, architettura rigenerazione urbana e cultura contemporanea. www.nipmagazine.it 

Photo Credits: Raffaella di Gregorio

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Hai mai visto il Banti? No.

È nata così la scoperta di questa architettura celata dai boschi, atterrata come un’astronave a pochi passi dal grande Parco Mediceo di Pratolino. L’ex sanatorio Banti, come il Gigante, la grande statua dell’Appennino che Giambologna realizzò quasi cinque secoli prima, è un fuori scala ma sembra dialogare perfettamente con il paesaggio delle colline fiorentine. Uno parla del potere e della magnificenza dei Medici, l’altro dell’approccio sociale dell’architettura razionalista in Italia, entrambi affascinano.

Photo:  Raffaella di Gregorio

Photo Credits : Raffaella di Gregorio

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L’ex sanatorio, abbandonato da anni, esercita un ulteriore potere di seduzione e mistero. Inaugurato nel 1939 aveva fatto di Firenze il centro più avanzato per la lotta alla malattia sociale per eccellenza dell’epoca: la tubercolosi. Fino agli anni settanta c’è stato un funzionamento regolare ma da quel momento, cessate le funzioni sanitarie, è iniziato un progressivo ed inarrestabile declino. Più volte si è tentato di ridar vita a queste stanze che sono diventate anche ricovero temporaneo di immigrati. E c’è chi parla di una riqualificazione del complesso per creare un centro di accoglienza per i nuovi profughi.

Oggi non c’è nessuno nei corridoi infiniti, nelle stanze tutte uguali, nelle serre elioterapiche all’ultimo piano, nessuno passeggia nel parco, nessuno mangia in mensa, non si recita più nel teatro, il palco è un deposito di sedie, nessun sacerdote celebra messa nella cappella, nessuno è in bagno anche dove la porta è chiusa. Oggi sui muri ci sono scritte, graffiti, messaggi enigmatici, le vetrate sono tutte in frantumi e si cammina su un pavimento di cristalli, alcuni armadi sono accatastati in una stanza, divise di panno nei corridoi, cartelle cliniche al primo piano, una lastra radiografica all’ingresso, un elettrocardiogramma in portineria e un ascensore è fermo al quinto piano.

Photo Credits: Marco Cantini

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Eppure l’ex sanatorio Banti rappresenta un edificio significativo nel panorama dell’architettura toscana del Novecento, una delle prime costruzioni realizzate interamente in cemento armato.

Nel 1934 l’amministrazione provinciale decise di edificare un istituto sanatoriale a Pratolino, poiché la lontananza dalla città, la salubrità dell’aria, la ricchezza di boschi sembravano essere ideali per la cura della tubercolosi. La famiglia Demidoff , proprietaria della villa di Pratolino, donò il terreno.

La progettazione e la costruzione furono affidati agli ingegneri Giocoli e Romoli dell’ufficio tecnico dell’INFPS, ma chi fissò il carattere definitivo del progetto fu l’ing. Felice Romoli.

Sicuramente il progettista padroneggiava un lessico razionalista aperto al dibattito internazionale sulla tipologia dell’architettura ospedaliera. Due corpi longitudinali compatti, slittati e raccordati al centro da un’ala trasversale si sviluppano in orizzontale uniti dal tema centrale dell’ingresso convesso e della torre dei collegamenti verticali alta sette piani, riferimento visivo e punto di vista privilegiato sul paesaggio circostante.

Photo Credits: Marco Turini

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Photo Credits: Marco Turini

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Photo Credits: Marco Turini

Photo Credits: Marco Turini

Photo Credits: Marco Turini

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Poco è stato scritto sul sanatorio Banti, poco sul suo progetto, e c’è chi avanza l’ipotesi di una possibile collaboratore esterno vicino al gruppo dell’architetto Piacentini.

Ho cercato notizie sull’attività professionale del progettista, curiosamente però la sua fama è più che altro legata alla sua vita privata. L’ing. Felice Romoli aveva infatti sposato Elena Luzzatto, la prima donna italiana a laurearsi in architettura presso la Regia Scuola Superiore di Architettura di Roma. Nel 1925 , Elena concluse gli studi con una tesi dal titolo “Sanatorio nei pressi del lago di Como”, divenne una dei massimi esponenti dell’architettura razionalista in Italia, e partecipò con suo marito a numerosi concorsi di progettazione per ospedali e sanatori.

Forse Elena non è intervenuta affatto in questo progetto o forse ne avrà ispirato il disegno.

Mi piace però l’idea di associare questa architettura dal destino infelice a questa donna pioniera dell’architettura razionalista italiana e allo stesso tempo paladina dell’emancipazione femminile nella professione dell’architetto, a lungo considerata una professione per soli uomini.

Del resto, chi l’avrebbe mai detto che un giorno, tra gli architetti, le donne avrebbero “sorpassato” in numero gli uomini?

E se questo è stato possibile, magari ci potrà essere un nuovo futuro per l’ex sanatorio Banti.

Photo Credits: Claudia Mezzapesa

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Photo Credits: Claudia Mezzapesa

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