Testo e foto di Emanuele Gaudioso/ Haiku di Daniele Brancati

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Prego –

piano la rosa

si apre

 

In questa intervista vorrei presentare un personaggio a me molto vicino, un caro amico con il quale, anni fa, trascorrevamo le giornate insieme nella sua casa di Napoli. Lì, dal piccolo balconcino che offriva la vista sull’intero golfo, parlando di filosofia, arte, natura e viaggi, abbiamo avuto modo di approfondire la nostra amicizia. Il suo nome è Daniele, e ora vive in Basilicata.
Una delle ultime volte che parlammo per telefono mi disse: “Mi farebbe piacere invitarti da me per qualche giorno. Abbiamo parlato tanto del pane naturale e credo che sia arrivato il momento che tu lo veda nascere, sarei felicissimo di ospitarti da me”. “Ecco!” mi dissi. In quel periodo ero anche alla ricerca di un tema per un reportage che di lì a poco avrei dovuto presentare alla scuola di fotografia di Sofia; così, con la macchina fotografica alla mano, raggiunsi Daniele nella sua campagna nei pressi del Monte Carmine, sugli Appennini lucani, per assistere alla crescita e alla trasformazione del pane naturale.

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Ci sono tante cose che un’intervista non ha modo di spiegare, proverò quindi a farti delle domande brevi e mirate, sperando di ottenere risposte simili. Prima di passare all’argomento principale, cioè il pane, sento di doverti chiedere prima qualcos’altro. Vorrei introdurre brevemente una parte di te, cioè il tuo lato spirituale. So che nutri un grande interesse verso la meditazione. Mi chiedevo come vivessi la meditazione e quale tipo di religiosità ti appartenesse di più…

La meditazione, intesa come pratica seduta, è per me un modo di rigenerazione presso la fonte originaria, grazie all’ascolto del silenzio. La meditazione, come condizione permanente, è un’attitudine costante all’ascolto consapevole, grazie allo stato di sensibilità e fertilità della mente de-condizionata.Non ho una religione d’elezione. Credo che l’impulso spirituale in me sia il medesimo che può provare nel profondo ogni uomo, purché decondizionato dagli schemi che ne ottundono la ricettività. Portare questa presenza, avvertita nel profondo, al livello dell’attività quotidiana, è per me un compito molto importante, profondamente spirituale.

Permetti una curiosità, hai intrapreso una vita che si può definire meditativa; hai avuto qualcuno che ti ha indirizzato su questa strada o hai scoperto tutto da te? Inoltre, noto che pesi accuratamente ogni parola e immagino che desideri usarla al meglio. Ascoltandoti non ho potuto fare a meno di porre la mia attenzione sulla parola “de-condizionato”, mi spiegheresti brevemente cosa vuol dire?

Il percorso che mi ha condotto all’attenzione verso la meditazione è passato per diversi passaggi e segnali; credo si sia fatto con una certa spontaneità e naturalezza, ma non sotto la guida di una figura di maestro, se è questo che intendi. Per quanto riguarda la parola de-condizionato, in questo caso, significa lo stato in cui un individuo è capace di ascoltare e agire con una ricettività e una presenza rese più vive dalla sospensione di alcuni condizionamenti.

So che autoproduci molte cose. Come vivi questa pratica? Soprattutto, c’è armonia tra questo lato e quello interiore?

La produzione autonoma è certamente in armonia con l’impulso spirituale che tento di assecondare. Un’attività materiale di autoproduzione che sia pervasa da questa spinta mi connette all’intelligente e plausibile genealogia delle cose. Il processo di autoproduzione, come metodo, si accosta meravigliosamente al processo di autorealizzazione.

Parliamo di un’altra tua pratica, che potremmo definire armonica. Hai quasi insistito affinché fossi presente al momento, lungo una giornata, della panificazione. Cosa rappresenta per te la pratica del pane? È anch’essa armonica?

La pratica del pane è al cuore del processo trasformativo. Permette di tastare la realtà fisica di alcuni elementi e comprenderne il meccanismo di evoluzione e stabilizzazione. La panificazione è una pratica gioiosa che ha bisogno d’amore, presenza mentale, armonia interiore ed esteriore.

Sempre riguardo al pane, lo fai in particolari periodi? Ti occupi da solo dell’intero processo produttivo? In genere, una volta completato, cosa ne fai?

Cerco di fare il pane solo ogni qualvolta sento che sono in sintonia col suo processo di nascita e trasformazione. Diciamo che m’impegno nel costruire il pane dal momento in cui lo immagino a quello in cui lo sforno, toccando i processi intermedi del rinfresco del lievito madre, dell’impasto a mano, delle lievitazioni e della preparazione del forno a legna. A volte capita che qualche amico venga ad aiutare in una di queste fasi, ma abitualmente sono solo durante tutta la lavorazione. Di solito, quando il pane è pronto, cioè a sera, lo lascio riposare durante la notte, e, l’indomani, lo dono a chi me lo ha chiesto, oppure, spontaneamente, a qualcuno con cui voglio mantenere vivo un legame di scambio, benevolenza e amicizia. La consegna del pane è anche il passaggio di un messaggio.

Spostiamoci su un’altra produzione, quella letteraria. Come scrittore ti sei ora cimentato con gli haiku, un genere di poesia giapponese. Sappiamo che si tratta d’un genere particolare, brevissimo, ricco di sfumature all’interno di tematiche fisse. Ci spiegheresti brevemente quali sono? E perché scegli proprio l’haiku?

Nell’haiku ricorre sempre il kigo, un elemento che esprime la stagionalità. S’alternano poi: yugen, cioè suggestione ineffabile, wabi, incanto per la semplicità delle cose, sabi, raccoglimento solitario, e aware, comprensione profonda dei mutamenti.
In realtà non ho scelto l’haiku deliberatamente, piuttosto esso, a un certo momento, è sorto da sé come attitudine di un mio modo di scrivere. Trovo che esso condensi un maximum espressivo tramite un minimum di segni rispettando venerabilmente il silenzio e il vuoto tra le cose da cui ha origine e che enuncia. Per me il silenzio che un haiku suscita è più importante dell’haiku stesso.

Un’ultima domanda. Nella tua stanza ho visto delle percussioni, immagino che le suoni. Ora, unendo i vari elementi, vedo il filo conduttore della sacralità e della pratica, anche in senso artistico. Come vivi dunque la musica e il canto?

Credo che la musica sia un dono d’inestimabile valore. La musica che eseguo è legata all’ascolto del ritmo e della melodia interiore in risonanza con il ritmo e la melodia esteriore. Tendo maggiormente a suonare degli strumenti che a cantare; tuttavia cerco d’intonare dei mantra in alcuni particolari momenti di raccoglimento.

Pace –

un mondo graziato

dal vento

Emanuele Gaudioso ha studiato Traduzione Letteraria e si occupa di linguaggi. Ha per questo iniziato lo studio della fotografia per scopi di ricerca e come mezzo per testimoniare il suo tempo. Attualmente è al lavoro su alcuni progetti fotografici a medio/lungo termine, tra questi figura anche una collaborazione con Daniele Brancati.

Daniele Brancati ha pubblicato La pericolosità della luce (Sbc edizioni, 2011);  a quattro mani con Hamza Zirem Conversazione con Daniele Brancati  (Lulu,  2013). Ha curato il volume Le parole mai dette di Annamaria Albano (Lulu, 2014). Di prossima uscita gli Haiku del Faro, haiku italiani scritti tra il 2012 e il 2014, e la versione inglese Haikus from the Lighthouse, rielaborati nel 2014 con Audrey Fastuca.