Testo di Isabella Mancini
Profugo due volte. La prima da quella che sarebbe dovuta essere la sua terra, poi da quella che, nonostante tutti i tentativi di resistenza, lo ha fatto crescere. Aeham Ahmad ha ventotto anni e arriva da Yarmouk. Lo avete visto perché le riprese di lui che suona il piano tra palazzoni sventrati dalle bombe piacevano ai media di mainstream. Gli stessi che non vi hanno mai raccontato del campo profughi di Yarmouk, che fa di Ahmad un profugo al quadrato. Con lui in quel campo c’erano 112.000 altri palestinesi. Alla fine del 2014 la popolazione di quel campo, dopo due anni di furiosi scontri, posizionamenti di fazioni, bombardamenti, si era ridotta a 20.000.
Una città nella città che nessuno si filava di pezza: poco in, alla fine era dal 1957 che questi profughi se ne stavano qui, è forse più una notizia? Forse.
Dall’aprile del 2016 in questo pezzetto di terra devastato sono rimaste meno di 10mila persone gli altri sono sparpagliati in giro per il mondo dal Libano all’Europa. Ahmad oggi è uno di coloro che è riuscito a raggiungere l’Europa, prima che le frontiere gli si chiudessero dietro come una sentenza a morte. E’ andato in Germania ed ha continuato a fare quello che faceva tra quelle macerie: suonare, suonare il piano e farlo per sensibilizzare popoli e governi. L’anno scorso ha inciso il suo primo album “Music for Hope” che fonda la musica classica con il canto arabo. Per il suo impegno in favore dei diritti umani ha ricevuto il premio Beethoven ed adesso è in tournee in Europa, ora in Italia. A Firenze si fermerà alla Sala Vanni dove prima verrà intervistato ed incontrerà le persone che vorranno saperne di più della sua storia. Appuntamento ore 19 e a seguire visione del documentario corto “Blue” di Abo Gabi (12′), che vede il pianista Aeham Ahmad tra i protagonisti. Il 3 febbraio sarà invece a Udine al Palamostre, il 4 ad Aosta al Teatro Splendor.