di Alessandro Balduzzi

‘Il treno è sempre il treno’, era certo Renato Pozzetto, l’Artemio che quaranta anni fa, si sedeva con i suoi amici nelle campagne padane ad aspettare il passaggio di un treno, simbolo di un progresso che ancora doveva arrivare. Ho in mente questo lontano ricordo quando, in Vietnam, salgo sul ‘Treno della Riunificazione’. Collega, dal 1976, la città di Ho Chi Minh City alla capitale Hanoi. Impiega oltre trenta ore. Il suo nome è ufficioso e festeggiava, quando venne inaugurata questa linea ferroviaria, la ritrovata unità fra Nord e Sud del paese. 

Sono partito alle 15.25 da Ho Chi Minh, che, per le ferrovie vietnamite e gran parte della popolazione, rimane tuttora Saigon. Centro economico di otto milioni e passa di abitanti, la città ha delle poste centrali immense come un magniloquente atrio da stazione e una vera stazione, piccola come una scatola per scarpe. Il traffico si limita a una dozzina di treni al giorno e al mio arrivo solo al primo binario ce n’è uno in attesa, appunto quello diretto a Da Nang (mia destinazione) e da lì a Hanoi

Al varco del vagone 4, mi attende la “cuccettista”, custode del bollitore per l’acqua calda, controllore e garante dell’ordine. Alla crucciata signora vietnamita in uniforme color canna da zucchero porgo il biglietto, sorridendo; lei gli getta uno sguardo e me lo restituisce, senza batter ciglio.

Ritorno sul marciapiede per osservare il fermento pre-partenza. Che non c’è. Il movimento si limita a un facchino col suo carretto, un ragazzo con maglietta gialla che carica pacchi sul vagone postale anch’esso giallo, due impiegati delle ferrovie che sbucciano verdura da portare in cambusa (quando tento di fotografare dall’esterno la cucina di bordo mi fanno cenno di no con la mano; probabilmente temono io possa inoltrarla al locale ufficio d’igiene).

La cuccettista è piuttosto contrariata del fatto che io fotografi, salga, scenda e continui a sorriderle. Per me è tutto nuovo e interessante; per lei, la solita minestra riscaldata. E a lei questa faccenda non va a genio. Finalmente ci muoviamo, lasciandoci lentamente alle spalle la stazione, che ricadrà in letargo fino al prossimo treno. I binari corrono a ridosso delle povere case di periferia. Anzi, non corrono affatto; incespicano dall’alto dei nostri trenta chilometri orari e dal treno si spia nella vita della gente.

Madre e figlio giocano a volano, due cani carlini si accoppiano con foga, un nonno mostra il treno al nipotino che si tappa le orecchie per non sentirne lo sferragliare, un monaco spazza il sagrato di una pagoda. Siamo in viaggio. 

Anche se più volte al giorno i vagoni sfiorano i cortili delle case e delle loro vite, per la gente che vive attorno ai binari, ‘il treno è sempre il treno’.