foto di Marco Serafini
testo di Daniele Mulas

 

Il gigante di cemento, il National Palace of Culture (NDK), ci si para davanti. Sonnecchia, stanco e immobile mentre il grigiore comunista di Sofia viene smantellato definitivamente, anno dopo anno. Adolescenti fanno evoluzioni spettacolari con skateboard e BMX americane, ignari del passato storico che ancora oggi fatica ad abbandonare la capitale bulgara. Due bambine gipsy ci chiedono qualche soldo e uno “zapalka”, l’accendino; sguardo fiero e triste quello dei gipsy, che in Bulgaria sono praticamente una nazione nella nazione, con le loro regole, le loro usanze e la loro poca voglia di integrazione.

Che sia questa una risposta al risveglio del sentimento nazionalista dei bulgari? Che fra tutti, vedono proprio nei gipsy il pericolo più grande. Tutto si trasforma velocemente nella città che Costantino amava chiamare “la sua Roma”.

Ma dov’è la tua anima, Sofia? Nei caffè e nei pub di Vitosha Boulevard? Nelle vecchie signore con la spesa nel carrello? Nella tua vita notturna? O forse proprio alle spalle di NDK, in quella montagna, Vitosha appunto, che veglia sulla città da secoli come spettatore attento e divertito di un popolo ancora in cerca del proprio cammino.

 

Il viaggio fino a Istanbul è interminabile, i controlli estenuanti. Una volta ottenuto il tanto agognato timbro sul passaporto, il treno scorre lento verso la voragine marina che accoglie la vecchia Costantinopoli.

L’impatto con la città è intenso, pregno di sensazioni e odori. Una moltitudine incontrollata di minareti trafora la città e si posa in cielo, dove il richiamo del Muezzin può meglio comunicare che l’ora di preghiera ha inizio.

La piazza, dove la grande Moschea Blu e Hagia Sofia si fronteggiano, è un turbinio di persone e pellegrini unico al mondo. Aspettiamo il nostro turno per entrare nella Moschea Blu.

Quando la preghiera finisce siamo dentro.

Il soffice tappeto accoglie i nostri piedi stanchi, e, mentre ci sediamo a terra, estasiati dalla magnificenza della struttura, una donna con un velo rosso, gli occhi chiusi e le mani congiunte attira la nostra attenzione. E’ persa nella preghiera, assorta nella grandezza e nella sacra spiritualità che serpeggia sinuosa all’interno della Moschea.

Prendiamo spunto e noi, come lei, ci perdiamo, letteralmente, ipnotizzati dalla storia della capitale turca.

Daniele Mulas nasce a Roma nel 1991, si appassiona alla scrittura e al viaggio con gli scritti di Tiziano Terzani. Laureato in comunicazione, scrive e collabora per la produzione di piccoli reportage fotografici con diverse riviste e testate giornalistiche online. Ama il suo cane, la fotografia, il basket, il vino rosso, la pasta Amatriciana e l’Asia, continua fonte di ispirazione e rifugio mistico contro la materialità dell’Occidente. Attualmente lavora in radio per una NGO in Bulgaria grazie al progetto europeo EVS.

Marco Serafini Amici nasce a Roma nel 1990. Studia all’Istituto per la Cinematografia Roberto Rossellini e si appassiona alla tecnica fotografica confrontandosi con modalità operative tradizionali e sperimentali: rayografie, chimigrammi, interventi grafici su stampe fotografiche. La predisposizione alla fotografia documentaristica lo spinge a una ricerca personale incentrata sulla narrazione attraverso le immagini e a una spiccata attenzione per gli aspetti compositivi e di contaminazione tra generi fotografici differenti. Porta avanti da autodidatta una produzione artistica principalmente figurativa impiegando molteplici tecniche esecutive su differenti tipologie di supporti, spesso di riuso.