Testo di Enrico Cerrini, foto di Hua Wang

La Calabria mi è spesso apparsa come una Regione misteriosa e contraddittoria, divisa da una netta linea di faglia che separa la temutissima ‘ndrangheta, forse la più importante organizzazione criminale al mondo, dall’ospitalità della sua gente. Durante gli anni dell’università, mi vedevo costretto a conciliare i paurosi documentari sul fenomeno criminale con la gioia di essere invitato a cena da un calabrese qualunque, garanzia di mangiar bene in quantità abbondanti. Negli ultimi tempi, la curiosità si è fatta sempre più intrigante e abbiamo deciso di visitare questo luogo alla scoperta delle sue tradizioni, delle sue bellezze e della sua gente.
Arrivati all’aeroporto di Lamezia Terme, viriamo verso sud fino a raggiungere Scilla, antica roccaforte situata vicino allo stretto di Messina, già cantata da Omero nell’Odissea. Ci stupisce sin da subito l’antico borgo di pescatori, Chianalea, la parte costiera a nord della città, non a caso chiamata “la Venezia del Sud”. La strada principale si sviluppa a fianco del mare, ma è parzialmente chiusa dalle vecchie case che si affacciano sul Tirreno.

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Tra una casa e l’altra, cunicoli lasciano intravedere barche che riposano sui gradoni o galleggianti, annodate alla terraferma. Gatti di ogni colore e dimensione si aggirano tra questi passaggi, atteggiandosi da padroni dell’area.
Appena raggiunto il porticciolo, si apre il panorama a sud della città, precedentemente chiuso dalla collina dove sorge la rocca. Da qui possiamo ammirare lo stretto di Messina, brulicante di navi e scorgere la placida e pianeggiante Sicilia del nord, il cui panorama contrasta i promontori che cadono focosamente nel mare dalla parte calabrese del Tirreno. Un tunnel scavato nella roccia collega il porticciolo al lungomare. Verso il mare, il tunnel mantiene un lato aperto da cui si intravede la scogliera sottostante e la piccola spiaggia di Scilla.
Scalinate dove la vita dei gatti si mischia a quella degli uomini ci portano al castello. In alto, incontriamo il duomo, edificio architettonicamente antico ma che presenta un aspetto moderno e monumentale al suo interno. Il panorama sullo stretto diventa ancora più bello, capace di dare una prospettiva globale all’ultima parte della costa Calabra e allo spezzone di Sicilia visibile. Sfortunatamente, visiteremo il punto più alto solo il mattino seguente, quando la visuale si è offuscata a causa di una pesante umidità che non ci ha permesso di godere a pieno del panorama sullo stretto. La vetta della collina è situata nelle torri di avvistamento del castello Ruffo, dal nome di chi modernizzò la millenaria rocca nel ‘500.

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La sera, infatti, ci dirigiamo verso Reggio Calabria, dove raggiungiamo velocemente il castello Aragonese, imponente all’esterno ma scarno all’interno. Dalla sua terrazza possiamo avere un bel panorama di Reggio, dove risaltano chiese bizantine e vecchi edifici decadenti, costruiti nel dopoguerra, senza la minima attenzione rispetto ai migliori canoni architettonici o urbanistici, come nel resto del paese.
Il lungomare Italo Falcomatà è un luogo suggestivo, una strada affacciata sul mare tra alberi e ritrovi giovanili, come bar e centri sportivi. Da un lato troviamo il viale ampio, corredato da un grande marciapiede e contornato da villette, sotto la via semipedonale tra stabilimenti e spiaggette, e dall’altro lato il mare che guarda la Sicilia, così vicina da poterla toccare con un piccolo sforzo d’immaginazione. Sebbene il viale non sia chiuso dagli edifici in stile liberty che mi hanno fatto storcere il naso in molte mete di villeggiatura balneare, da Viareggio a San Sebastian, non posso essere d’accordo sulla definizione di “chilometro più bello d’Italia”. Se dovessi scegliere il lungomare più bello del mondo, non avrei dubbi: è quello di Livorno, più familiare e più affascinante, con la sua terrazza Mascagni di fronte al mare infinito, fonte di ispirazione dei pittori Macchiaioli che rivoluzionarono la concezione del colore. Così, mentre ripenso alla mia Arednza. riscopro così la mia parzialità nei giudizi, dettata dall’amore per i miei luoghi familiari.
Al termine del lungomare non si può far altro che visitare il museo nazionale della Magna Grecia, dove sono esposti due dei massimi capolavori dell’arte ellenica, i Bronzi di Riace. Nel museo risaltano molti reperti interessanti che attirano la curiosità dello spettatore, come la tomba a forma di piede, la ricostruzione delle tombe rispetto alle classi sociali e i tempietti dove numerose sculture di teste di cani fuoriescono dal tetto, come a voler assalire lo spettatore. Ma i Bronzi non possono che essere l’elemento principale che eleva tutto il resto. Dobbiamo aspettare tre minuti nella stanza antistante per depurarci dai germi che potrebbero intaccare le preziose statue, prima di venir sopraffatti dalla perfezione delle due sculture. Queste non risaltano tanto per la loro imponenza ma per l’amore verso i dettagli, non certo scontato duemilacinquecento anni fa. Il visitatore può infatti ammirare, con tutta calma, la forte plasticità alle opere evidenziata dalla fattura delle mani e delle gambe che presentano il rilievo delle vene. Appena finiamo di visitare il museo, torniamo a Scilla con il treno, non prima di aver assaggiato una specialità locale, il gelato servito nella brioche, in sostituzione del più classico cono.

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L’indomani ci dirigiamo verso la costa Viola, transitando da Capo Vaticano, dove sorge l’omonimo faro e da cui si possono ammirare le spiagge sottostanti, raggiungibili solo grazie a tortuosi sentieri tra la roccia e la macchia mediterranea. Se non ci fosse foschia, avremmo un bel panorama della Sicilia, ma l’umidità limita notevolmente la nostra visuale. Riprendiamo il nostro percorso verso Tropea, dove visitiamo brevemente il centro storico, per poi scendere sul lungomare, dove è possibile ammirare il paese nella sua completezza. Le case appaiono come una prosecuzione della collina che le racchiude perché il centro si trova in alto e svetta sopra la roccia di tufo che cola a picco nella strada.
La strada circonda la roccia e ci porta lentamente al lungomare, dove la spiaggia è interrotta nel punto in cui si trova il Santuario di Santa Maria dell’Isola. Questa è posizionata su un’altra grande conformazione lavica che forma una collinetta antistante al promontorio che racchiude il borgo antico. La roccia si incunea nel mare e separa il lato nord dal lato sud della costa, come a formare un piccolo capo. Vista dalla piazza che si pone all’ingresso del centro storico, la spiaggia scura, spezzata in due dalla scogliera su cui sorge la chiesa, appare bellissima e non stupisce affatto che sia spesso nominata tra le più belle spiagge del mondo.
Se Tropea vive all’esterno del centro storico dove stupisce il paesaggio naturale che si mischia alle fattezze umane, il turista ha di Pizzo Calabro un’impressione opposta. Entrambe le cittadine sono caratterizzate da due borghi scolpiti nel tufo a picco sul mare, ma la vita paesana risulta completamente diversa. Tropea ha un centro storico semplice, che si affaccia su un panorama mozzafiato. Pizzo non beneficia dello stesso panorama ma possiede un centro grande, contorto, complicato e faticoso. Un susseguirsi di stradelle e scalinate che pur sembrando portare all’interno di case e appartamenti altrui confluiscono nella piazza principale, il cuore del centro storico brulicante di vita. L’unica via più larga parte dal Convento di San Francesco da Paola, dove si staglia un piccolo balconcino in cui i bambini giocano a calcio. Si snoda tra le case della città vecchia, dove si accalcano negozietti di ogni sorta, fino a raggiungere la piazza centrale, dove sorgono numerose pasticcerie nelle quai si può assaporare il tipico gelato locale, il famoso tartufo di Pizzo, un cuore di cioccolato fondente ricoperto di gelato alla crema e alla nocciola.

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Oltre alle eleganti gelaterie, da un lato della piazza si staglia un palazzo che contiene all’interno un portico che conduce ad un piccolo ristorante. Dall’altro lato si scorge un palco circondato da tanti bambini vestiti in modo stravagante per effettuare un saggio di danza. Un ponticello sopra la strada che transita sotto il paese, separa la piazza dal castello Aragonese, chiamato oggi Castello Murat. Sebbene fosse stato costruito dai re d’Aragona ben prima della nascita del generale francese, il castello è stato così ribattezzato perché ha ospitato la detenzione e l’esecuzione dell’illustre personaggio.
Dentro le sue stanze si può osservare la prigionia del cognato di Napoleone Bonaparte, catturato quando provò a riprendersi il regno di Napoli navigando alla volta di Pizzo con soli 2.000 uomini. Probabilmente, Murat pensava che grazie al suo carisma e all’appoggio della sua gente, molti popolani si unissero alla sua rivolta contro i Borbone. In precedenza, Murat fu nominato re di Napoli dal potente cognato, sotto lo slancio delle nuove idee egalitarie portate avanti dalla Rivoluzione Francese, ma pochi anni dopo i Borbone ripresero il loro trono e restaurarono lo status quo. Il tentativo di riprendersi il trono fallì miseramente e Murat fu prima recluso nel castello e poi fucilato a seguito di un breve processo farsa di cui tutti conoscevano l’esito. In punto di morte, il generale dette prova di coraggio, scrisse una lettera di incoraggiamento ai familiari, rifiutò di essere bendato e chiese ai suoi fucilatori di sparare al cuore e risparmiare il volto. Il castello ricostruisce fedelmente i dettagli coinvolgendo pienamente l’attenzione del pubblico.

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Dopo un delizioso tartufo, partiamo alla volta di Cosenza, non prima di fermarci alla chiesa di Piedigrotta. Poco fuori dal centro di Pizzo, un gruppo di naufraghi scavò una piccola chiesa rupestre a fianco della caletta dove avevano trovato la terraferma. Qui, istallarono un dipinto della Madonna che sopravvisse a lungo, malgrado la vicinanza al mare e la parziale esposizione agli agenti atmosferici. Data l’eccezionalità del luogo, alla fine dell’ottocento, un’artista locale decise di adornare la chiesa di numerose statue raffiguranti eventi biblici, come la pesca miracolosa, e la vita dei santi. Dopo essere stata deturpata dai vandali, che decapitarono numerose statue, negli anni ’60, un nipote dell’artista originario decise di ristrutturare la maggior parte delle statue e crearne di nuove. Sorgenti naturali formano vasche d’acqua che rendono ancora più suggestivo quel piccolo luogo.
L’immagine della caparbietà del nipote del mastro artigiano che mantiene le vecchie tradizioni familiari e ricostruisce le statue distrutte, è l’ultima della costa tirrenica, luogo che ci ha allietato con le sue prelibatezze culinarie, il sole e la cordialità della sua gente, facendoci scoprire quelle bellezze artistiche che spesso passano in secondo piano rispetto a più note bellezze naturali. Lungo la costa, ho ritrovato quella Calabria solare e piacevole che mi aveva colpito positivamente nei miei anni universitari. Ora ci aspetta il viaggio verso l’interno, verso gli aspri monti della Sila.