Testo e foto di Francesco Parrella

L’autista parte già spazientito. Sbuffa quando vede che deve fermarsi all’ennesimo semaforo. Quando scatta il verde parte sgommando. A bordo del bus ci sono una decina di passeggeri, e altrettanti posti vuoti. Alla fermata successiva salgono un arzillo vecchietto, una ragazza, e una donna con la divisa della polizia, che si siede davanti accanto all’autista. La ripartenza anche stavolta è sprint, tanto che la ragazza che è appena salita deve aggrapparsi ad un sedile per non cascare a terra mentre raggiunge il posto. Tra i passeggeri nessuno dice una parola, e sembra che tanta fretta in fondo non dispiaccia a nessuno. Si sentono solo le voci dell’autista e della poliziotta; probabilmente fanno insieme lo stesso tragitto ogni giorno. Venti minuti più tardi il bus si ferma vicino alcune case lungo la via. E’ una fermata ma anche una sosta. Tra i passeggeri c’è chi scende, qualcun altro aspetta che arrivi l’autista per fare il biglietto e salire a bordo. La sosta dura cinque minuti. Chi era sceso torna sul bus con dei taralli caldi ricoperti di semi di sesamo.

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Il viaggio prosegue tra la vegetazione fitta delle montagne vicine, e le poche auto che s’incrociano sulla strada. Alla fine di un tratto in salita si arriva alla frontiera con il Kosovo. Dal bus scende la poliziotta che si appresta ad iniziare il turno di lavoro nell’ufficio della dogana macedone. Espletati i controlli alle frontiere si riparte dopo circa un’ora. L’autista continua a tenere il piede pigiato sull’acceleratore, e tra i passeggeri, quasi tutti macedoni di etnia albanese, non vola una mosca.

All’esterno le montagne hanno ceduto il passo alla pianura, non ci sono più tornanti, e nella campagna s’intravedono le prime case, qualche minareto, piante di girasole, e tanti cantieri edili. La prima fermata in Kosovo è nei pressi di un paesino. Per Pristina occorre ancora una mezz’oretta. Ai due lati della strada inizia una interminabile zona commerciale dove si vendono materiali per l’edilizia, macchinari, sanitari, arredamento. Sulle insegne si leggono anche diversi marchi di aziende italiane. Frattanto il bus arriva alla stazione degli autobus di Pristina. Il centro cittadino dista qualche chilometro e raggiungerlo in taxi costa meno di due euro. Durante il tragitto verso il centro si vedono dal finestrino dell’auto dei carabinieri impegnati in un posto di blocco. Si tratta dei militari italiani che partecipano alla missione della Nato (KFOR), in Kosovo su mandato Onu dal ’99, per assicurare sicurezza e stabilità. Il tassista si ferma su ‘Boulevard Bill Clinton’. “Siamo arrivati in centro”, dice. Appena alla fine della discesa di questa lunga strada c’è anche la statua dell’ex presidente americano. Non lontano una via è intitolata invece a George W. Bush. I kosovari hanno voluto ringraziare anche così i due presidenti americani per l’intervento militare in Kosovo. Attraversato il boulevard, dopo qualche centinaio di metri inizia il centro cittadino vero e proprio: un lungo e ampio viale pedonale, con ristoranti, tavolini all’aperto, negozi, bancarelle di libri, e un filare di alberi che assicura la giusta ombra alle panchine. Sulla facciata di un edificio c’è l’immagine di Ibrahim Rugova, il leader kosovaro scomparso nel 2006. Più avanti c’è anche la statua, e di fronte i palazzi di vetro delle istituzioni nazionali e internazionali che amministrano il Kosovo.

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Dall’ostello cittadino si vedono uscire alcuni giovani, ma in giro ci sono pochi visitatori. Pristina non ha tante attrazioni turistiche, e probabilmente chi ha progettato la città non poteva immaginare che sarebbe diventata una capitale. Da vedere senz’altro la biblioteca nazionale, con le sue 99 cupole una diversa dall’altra, il museo etnografico, la cattedrale dedicata a Santa Madre Teresa, la moschea al-Fatih. La cattedrale ortodossa del Cristo Salvatore iniziata negli anni ’90 sui terreni dell’Università dev’essere ancora completata.

Intanto a bordo del taxi sulla via del ritorno alla stazione degli autobus il tassista che parla un perfetto inglese chiede: “Bella Pristina?”. Non lascia il tempo di rispondere che aggiunge: “Purtroppo il guaio è che in Kosovo c’è troppa corruzione tra la classe politica, ci sono troppi giovani che non hanno un lavoro, altrimenti non ci manca niente. Guarda qua che ragazze!”, e quasi inchioda l’auto sull’asfalto. La stazione degli autobus è organizzata come fosse una stazione ferroviaria. Dalla banchina anzichè i treni partono i bus. L’autobus per la Germania è il più atteso tra i passeggeri con le valigie più grandi. Gli altri pullman non sono così nuovi, e nemmeno così affollati.

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