Testo e foto di Vanessa Marenco
Nella foto una chiesa abbandonata, a Detroit

Quando il meraviglioso e complesso itinerario della vita sarà arrivato alle ultime battute, girandomi indietro, sono certa che sarò felice soprattutto per un motivo: sarò soddisfatta di aver dedicato tanto tempo a viaggiare, in tutti gli anni impilati gli uni sugli altri.

Per me, infatti, viaggiare determina continuamente un’espansione e allo stesso tempo un ridimensionamento.
Viaggiare serve innanzitutto a ricordarmi che la normalità e la regola non esistono: i punti di vista, le credenze, i valori sono relativi e tutti ci troviamo a percorrere traiettorie instabili, impazzite e mutabili. L’esplorazione del mondo – vicino e lontano, geograficamente e simbolicamente – mi ha insegnato che non c’è nulla di assoluto e fisso, tranne la dignità dell’essere umano: a restare centrale non sono gli elenchi dei luoghi che visitiamo, a volte troppo spesso di fretta.
A dare un senso alle latitudini e longitudini, per me, resta chi mi accompagna lungo i percorsi del mondo, chi mi capita vicino mentre perdo un treno, chi si ferma a raccontarmi la sua storia, chi mi sorride. Credo che il movimento e la geografia possano in questo senso definire il rispetto per l’essere umano come centro di gravità permanente in un mondo incredibilmente malfermo.
Allo stesso tempo, però, penso anche che il viaggio mi ridimensioni: più giro per le strade di questo fragile pianeta, e meno mi sembra di capire, ma non è un male questo. Tutt’altro. Significa che sto ancora evolvendo: ci sono ancora errori da commettere, parole da imparare, storie da ascoltare, musica da scoprire, e tante mani da stringere. L’inaspettato e la bellezza inusuale sono possibili e importanti ovunque: dietro l’angolo, nel quartiere dove hai passato gran parte della tua vita; davanti al lago di Ocrida; in una fabbrica dismessa di Detroit; guardando Calcutta dall’alto. Nessun luogo è minore e tutte le destinazioni degli atlanti sono in qualche modo collegate tra di loro.
La riduzione dell’ego che si attiva viaggiando è anche materiale. Muovendomi in questa geografia alternativa, lontana dai cataloghi, negli anni mi sono resa conto che in fondo in fondo, mi serve davvero pochissimo: le dimensioni dei miei zaini sono diminuite con il passare del tempo, tutto si lava e quasi tutto si asciuga, l’importante è avere un paio di scarpe proprio buone. Non saranno probabilmente grandi lezioni di vita, queste, ma tant’è.


Allargare gli orizzonti – viaggiando, ma anche leggendo resoconti di viaggi non istituzionali – mi è servito anche a un’altra cosa: mi ha fatto capire che viaggio perché posso farlo. Sembra poco, eh? Invece viaggia chi ha la libertà economica, sociale, e culturale per poterlo fare. Finisco spesso per dare per scontato questo stato di grazia, di autonomia: ho avuto la grande fortuna di essere nata, come donna e come essere umano, in una parte di mondo dove il movimento è possibile. E allora, come diceva Vonnegut ai suoi studenti, bisogna farci caso quando siamo felici, quando le cose sono possibili e vanno bene.
Viaggio perché non ho mai sentito davvero di appartenere a un solo luogo: dico questo con amore immenso, senza passiva aggressività e senza spocchia. Nessuna fermata mi ha mai trattenuta completamente, perché in fondo le ho amate e apprezzate tutte, sempre e nonostante. Viaggiare quindi aiuta a espandere il cuore, a nascere ancora e ancora, a conoscere una nuova famiglia, e incontrare nuovi amici. Partire regala amori e cuori infranti che si riparano a ogni chilometro. Viaggio per incontrare centinaia di vite possibili che si estendono oltre all’unica che – a quanto pare – mi è stata donata.

– Questo è il mio sito, in cui parlo fondamentalmente solo di viaggi in italiano e in inglese: https://www.skandorinasdiary.com/
– L’Atlante dell’Insolito. Un viaggio tra i luoghi del divenire. Edizioni Alpine Studio: https://www.alpinestudio.it/home/197-l-atlante-dell-insolito.html