di Ottorino Tosti.

Un viaggio in Groenlandia, un progetto umanitario, la scoperta di un mondo ancora “congelato” in una dimensione antica ed inospitale. Uomini forgiati nel ghiaccio e una cultura tutta da scoprire, tramandata di padre in figlio, di canzone in canzone. Un mondo in costante pericolo a causa dei cambiamenti climatici e dei continui contatti con l’uomo “moderno” e “civile”. Questo è lo scenario su cui si muove l’Associazione culturale ItaliAmmassilik fondata da Ottorino Tosti per la salvaguardia del patrimonio culturale della comunità Inuit nella Groenlandia Orientale. Ottorino ci racconta la sua avventura, la sua Groenlandia, la sua missione per proteggere la comunità di Ammassilik posta ai margini dalle attività di sfruttamento imposte dalle società occidentali.  (M.T.)

www.italiammassilik.it

“C’è più Groenlandia ad Ammassalik che in tutta la Groenlandia” mi disse così una volta un tale che aveva viaggiato per molto tempo nel nord del mondo. Non ero ancora stato in  Ammassalik. Ma poi, un giorno non molto lontano, era il 2008, sono stato in spedizione in Ammassalik, e ho capito perchè quel viaggiatore aveva anche detto: “la Groenlandia non è più la Groenlandia. Se vuoi conoscere la Groenlandia adesso devi andare ad Ammassilik”.

Ed era vero.

Ammassalik fino al 2008 era una località quasi sconosciuta. In quegli stessi anni a Nuuk si costruivano condomini, e alla Baia di Disko attraccavano navi da crociera di 600 turisti.

I piccoli villaggi della costa occidentale erano invasi da europei, russi, americani, cinesi che comperavano oggetti lavorati con scalpelli in acciaio, lime, e trapani elettrici.

Ad Ammassalik gli artigiani lavorano ancora oggi l’osso e la pietra come la lavoravano i loro antenati 1000 anni fa.

E non basta: alla fine degli anni ’70 erano ancora semi-nomadi. Dopo aver trascorso l’inverno lungo la costa nelle ‘case di terra‘, costruzioni con le pareti in pietra e il tetto in muschio e torba, in primavera si spostavano verso l’interno dei fiordi alla ricerca di nuovi ambienti di caccia. Durante questi spostamenti vivevano  in tende di pelle di foca e d’orso, costruite sullo stile delle tende che usano ancora oggi i pastori nomadi di renne della Siberia.

Parlando con gli  anziani di Ammassalik, si scopre che molti di loro sono vissuti, nell’età giovanile, nelle ‘case di terra‘.

Oggi come ieri, come duecento, come mille anni fa.

Così le danze, il folklore, le concezioni della vita e della caccia fra gli inuit di Ammasssalik non sono molto dissimili da quelle di mille anni fa.

E se le case di legno dei sei piccoli villaggi sparsi lungo i fiordi, in inverno per lunghi periodi irraggiungibili fra loro, costringono il nucleo familiare a uno stretto contatto per molto tempo, non è un male, perchè ha fatto sì che la famiglia continui a rappresentare il centro della socialità, perpetuando le tradizioni e tramandando le storie del passato.

Altra specifica peculiarità culturale degli Inuit di Ammassalik, oramai pressochè dimenticata in altre parti della Groenlandia, è la mancanza assoluta del senso della proprietà. In sua vece si è sviluppato nei secoli un forte senso della condivisione, indispensabile per far fronte alle terribili carestie che nei tempi passati colpivano frequentemente questi luoghi, decimandone gli abitanti.

In Ammassalik sono tutti cacciatori.

Il valore inestimabile che la caccia riveste per questa comunità lo si può capire visitando i piccoli villaggi di Tiniteqilaaq, Isertoq, Sermiligaag, dove vivono un numero limitato di famiglie legate al proprio ambiente da un filo sottile che fa dipendere la sopravvivenza della “specie inuit” da quella della “specie foca”.

Fortissimo è  il senso mistico nei confronti della natura. Qui la caccia alla foca è da sempre l’attività di sostentamento principale, e l’animale ucciso non rappresenta un trofeo ma un bisogno ineluttabile.  La morte viene data con estremo rispetto, ed è ancora vivo l’uso di ringraziare la preda per aver offerto la propria vita.

E’ un grande rispetto per la natura questo, che impedisce al cacciatore di uccidere più prede di quelle necessarie alla sopravvivenza quotidiana di sé e della propria famiglia.

Ammassalik, 65°37′N  – 37°38′W  è una regione di  232.000 Kmq. di roccia e ghiaccio sulla costa orientale della Groenlandia, a filo del Circolo polare artico, dove in sei piccole comunità sparse fra i ghiacci di due sterminati fiordi vivono 3000 inuit.

Qui gli inuit arrivarono al seguito della grande migrazione, detta di ‘Thule’, che nel X secolo era scesa dall’Alaska popolando le coste orientali e occidentali della Groenlandia.

Abili cacciatori, i Thule conoscevano l’arco e le frecce ed erano preparati per la caccia alla balena, possedendo perfettamente le tecniche di fabbricazione degli arpioni e della caccia in gruppo.

Si muovevano sul ghiaccio con le slitte trainate dai cani, e sull’acqua con i qajaq e gli umiak, imbarcazioni più grandi adatte al trasporto delle masserizie guidate dalla donne.

Donne con il tipico Chignon (Thalbitzer 1906). ©Arktisk Institut

 

La loro tecnicizzazione permise di mettere a punto una serie di utensili e di oggetti specifici per ogni tipo di caccia: agli uccelli, ai mammiferi marini e terrestri, e di pesca, e la perfetta percezione dell’ambiente permise loro di sopravvivere in condizioni estreme, con temperature ben al disotto dei 40°.

Nel corso dei secoli condizioni climatiche avverse, culminate con la piccola era glaciale del XVIII secolo, sterminarono tutti gli insediamenti posti lungo la costa orientale. Alla fine del XX secolo erano rimasti in vita solo gli abitanti di Ammassalik.

Di Ammassalik – che nella lingua locale significa ‘là dove ci sono gli ammassat’ (piccoli pesci simili alle sardine) – noi occidentali siamo venuti a conoscenza per la prima volta nel 1884.

Tenda estiva (Pedersen 1929). ©Arktisk Institut

Era il periodo delle grandi esplorazione artiche. Da più di cento anni si cercava di salire a nord e raggiungere le coste più remote della Groenlandia. Era il tempo della ricerca del mitico passaggio a nord-ovest, e non si era ancora spento l’eco della misteriosa scomparsa fra i ghiacci della spedizione inglese di John Franklin.

Fu quello l’anno in cui Gustav Holm, ufficiale di marina danese che era salito verso nord alla ricerca di resti di insediamenti vichinghi, riuscì ad avvicinarsi più di chiunque altro ad Ammassalik.

Bloccato dal ghiaccio in prossimità della costa riuscì però a mettere in mare un umiak condotto da sei donne della Groenlandia occidentale, e ad entrare abbastanza facilmente nei fiordi.

Qui, con estremo stupore, sparsi fra fiordi e canali scoprì 11 villaggi dove 413 inuit vivevano in una condizione di totale dipendenza dall’ambiente circostante, preda di  malattie e terribili carestie, con l’unico sostentamento derivante dalla caccia alla foca, dalla pesca, dalla raccolta di bacche e mitili.

I danesi ritennero questa regione interessante per il commercio delle pelli di foca e dell’orso, e dell’olio di balena, così dieci anni dopo vi insediarono stabilmente una stazione commerciale e l’immancabile missione religiosa per la conversione degli inuit al luteranesimo.

Era il 1894, e questo è l’anno che segna l’inizio della colonizzazione, o meglio, dell’omicidio sociale di questa popolazione.

Nucleo famigliare (Krabbe 1904). ©Arktisk Institut

Immaginate come dovettero trovarsi questi 400 Inuit abituati a cacciare su vasti territori, a muoversi in un ambiente estremo, pervasi da un profondo senso della natura e intrisi da una grande spiritualità a doversi ritrovare cristiana, a dover vivere in nuclei urbani, a mutare le proprie condizioni di vita per acquisire quelle ‘europee’.

Fu la disperazione. Una tragedia sociale con una ben precisa cronologia che ha il suo inizio e il suo epilogo in poco più di 50 anni.

Nel 1896 malattie consecutive portate dalla presenza danese avevano già drasticamente ridotto la popolazione a  294 unità.

Drammatica poi è stata l’abitudine, tipica dei popoli nordici, di bere birra, introdotta presso questa popolazione dalla comunità danese. Se si considera che gli inuit sono un popolo privo degli enzimi che metabolizzano l’alcool, e che ne basta una piccola quantità per mandarli in uno stato di coma etilico, si capisce come questa abitudine sia riuscita in pochissimo tempo a condizionare la qualità e la durata stessa della loro vita.

Nel 1925 i danesi spostarono 70 individui a fondare la colonia di Scorebysund, all’apparenza per diminuire la pressione demografica su Ammassalik, in realtà per vedersi riconosciuta, in virtù di un trattato conla Norvegia, la sovranità su quella remota regione di fiordi1000 Kmpiù a nord.

Nel 1940 una base aereonautica militare americana fu costruita a Ikatek, nell’estremo nord del fiordo di Sermiligaaq “il bellissimo fiordo ghiacciato”, a fare da ponte per i voli aerei che dall’America portavano rifornimenti e soldati in Inghilterra.

Nel1952 aseguito della guerra fredda gli USA intensificarono la propria presenza in Ammassalik, creando a un paio di chilometri da Kulusuk la base militare DYE4, che contribuì fortemente a occidentalizzare tutti i villaggi.

Nel 1970 un fortissimo vento catabatico, il piterak, che soffiò raggiungendo punte di velocità di 200/250 Km/h distrusse la maggior parte delle abitazioni di Tasiilaq, dando l’occasione per ricostrurla con abitazioni più moderne e coibentate.

Sempre in questi anni ’70 contributi economici governativi permisero ai cacciatori di sostituire l’arpione con il fucile, il qajaq con la barca a motore, ed altri facilitazioni furono date alle famiglie per migliorare le condizioni di vita.

Il sopraggiungere della televisione e di internet verso la fine del secolo scorso poi ha rappresentato il pass definitivo per entrare in contatto e confrontarsi con la  società occidentale.

Pur accettando questo discreto benessere ‘occidentale’ rappresentato da case riscaldate, affrancamento dalla fame quando la caccia non era sufficiente, meno probabilità di morire in mare con il qajaq, apertura mentale verso il mondo esterno, ecc. gli Inuit di Ammassalik sono sempre riusciti a resistere alla pressione di vita occidentale, mantenendo seppur faticosamente il proprio stile di vita.

Anzi, in questi ultimi anni in cui si sta verificando una certa indipendenza politica, grazie anche ai successi del partito ‘Inuit Ataqatigiit che nelle ultime elezioni ha ottenuto il governo del Paese e aspira a rendere la Groenlandia uno Stato indipendente, ricomincia a serpeggiare, specialmente fra i giovani, l’orgoglio di essere ‘ Popolo’ e ‘Nazione’.

 

Questi anni del secondo decennio del 2000 però, oltre ad essere un momento di rinnovato orgoglio ed una inaspettata possibilità di riacquisire le proprie identità, rappresentano anche il momento più difficile per Ammassalik.

Da quando verso la fine del secolo scorso il commercio delle pelli di foca è andato in crisi e gli interessi economici sono terminati, questa popolazione è stata frettolosamente abbandonata a se stessa, per poi divenire preda,  in questi ultimissimi anni, di una forma più moderna di colonialismo.

Il ‘turismo’. Che non è detto sia la meno dannosa.

Vista l’appetibilità del suo territorio, la simpatia e la disponibilità dei suoi abitanti, la bellezza dei fiordi ghiacciati, le agenzie turistiche hanno individuato in Ammassalik un nuovo affare: i viaggi ‘alternativi’ proposti come cura allo stress della vita occidentale.

Questo ha creato due gravi problemi: la destabilizzazione dei bambini dei villaggi, disabituati al passaggio di stranieri, che si vedono fotografati e trattati come oggetti curiosi se non addirittura come fenomeni da circo, e l’assenza di una ricaduta economica sul territorio. Infatti i tours vengono gestiti da agenzie straniere che impiegano personale proprio, ed i proventi passano alti sull’economia locale.

Inoltre gli oggetti di artigianato raramente vengono acquistati in loco, ma nei negozi ricchi di Reykjavík, ultimo ponte europeo  versola Groenlandia, ad un prezzo enormemente più elevato.

La caccia è stata da sempre l’attività di sostentamento principale. Sia per l’alimentazione, sia per la vendita delle pelli.

Ma di cosa vivrà questa popolazione quando i giovani che non sanno più cacciare diventeranno adulti? ci troviamo di fronte a una popolazione destinata a morire di fame.

La pratica della caccia si inizia ad imparare dalla più tenera età. I ragazzi seguivano il padre e imparavano poco a poco il loro futuro mestiere: a muoversi sui fiordi ghiacciati con le slitte, a trovare i punti migliori dove cacciare la foca, a ritrovare la via di casa in mezzo alle più terribili bufere.

E inoltre che cosa si può commerciare, ora che la vendita delle pelli è terminata, considerando che la conformità morfologica e climatica di questa regione rende impossibile lo sviluppo di una qualsiasi coltivazione, un qualsiasi allevamento, una qualsiasi attività commerciale?

Attualmente una sola persona sta offrendo loro un aiuto. E’ Robert Peroni, un esploratore italiano oramai 65enne che da 30 anni vive con loro aiutandoli a crearsi un modello economico confacente al proprio modo di vivere e al proprio ambiente. Così adesso i cacciatori di Ammassalik guardano all’occidente con più speranza, e pensano il turismo come una soluzione possibile ai propri problemi.

Considerando che in molti paesi del mondo il turismo è diventato una risorsa economica vera, alla stregua dei più consueti progetti agricoli o sanitari, non sono utopici nel ritenere che anche in Ammassalik possa rappresentare un ottimo strumento di sviluppo.

A patto che sia un turismo equilibrato, non invasivo per l’ambiente e per la popolazione. Un turismo di qualità, sensibile alle problematiche umane e ambientali, che però poche agenzie di viaggio sanno ed hanno il coraggio di proporre, perché poco remunerativo.

Attività, questa incentrata sul turismo, certamente non facile da ottenere e da seguire, per loro che migliaia di chilometri di ghiaccio isolano dal resto del mondo, e insormontabili difficoltà economiche relegano spietatamente nel piccolo spazio dove abitano.

Per questo è stato pensato Italiammassalik (www.italiammassalik.it) “per la conoscenza, la valorizzazione e la salvaguardia del patrimonio culturale tradizionale degli Inuit di Ammassalik, per la realizzazione di interventi di immagine e comunicazione, di conoscenza del territorio, di promozione per lo sviluppo del turismo, finalizzati a garantire alla popolazione locale il diritto di progredire nel mondo moderno con fiducia e autostima, rinsaldando i legami con la propria terra, le proprie tradizioni, i propri usi e i propri costumi”

Ideato e promosso come progetto privato nel 2008 dal sottoscritto, è divenuto in questo 2012 associazione. Ha lo scopo fondamentale di porsi come ‘ponte’ fra loro e l’occidente. Farli conoscere. Far sapere che esistono, perché fintanto che di un popolo se ne ha conoscenza questo popolo vive.

Poi organizzare viaggi per offrire al turista “evoluto” un momento che non sia solo svago, ma anche occasione per ampliare le proprie conoscenze, accostando un mondo, come quello artico, completamente diverso dal nostro.
Viaggi particolari e tipici, etnografici, che, per il fatto di muoversi in un ambiente scarsamente, se non per nulla, conosciuto, sono sopratutto occasioni uniche per raccogliere materiale documentaristico e annotazioni sui luoghi visitati e sulle genti incontrate.

Viaggi sopratutto organizzati in maniera che il prezzo pagato ‘rimanga’ sul territorio di Ammassalik, e che la visita del turista sia, per i bambini inuit, un momento per sentirsi apprezzati in quanto “Inuit”.

 

Testo e foto di Ottorino Tosti | Presentazione a cura di Marco Turini

www.italiammassilik.it

 

 

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