Testo e foto di Daniela Capoferri

A Bangui, ogni sabato mattina, qualsiasi cooperante va a far la spesa al supermercato con il proprio autista.
L’autista in Centrafrica non è un lusso. L’autista è un obbligo, è la sola condizione per potersi muovere in questo Paese.
Ieri, come tutti i sabati mattina, ho chiesto a Valère , autista COOPI durante i week end, di accompagnarmi.
Ieri, come tutti i sabati mattina, sono salita in auto, ho allacciato le cinture di sicurezza e Valère ha bloccato tutte le portiere.
Ieri, come tutti i sabati, ci siamo diretti al supermercato Corail, frequentato unicamente da personale delle ONG, dell’Onu o dell’esercito francese.
Ieri, però, non era un sabato come gli altri. Un Babbo Natale gonfiabile enorme mi osservava perplesso nascondendo l’ingresso del supermercato.
Sembrava chiedersi come fosse potuto finire li, ancorato  a quattro pietre, su una strada di terra rossa, impolverato tanto che la barba bianca gli era diventata rosa.
Nessuno lo degnava di uno sguardo.
Lui, abituato a essere il protagonista indiscusso di tutti i centri commerciali da metà novembre fino a fine gennaio, se ne stava lì, fermo e quasi triste, mentre bambini urlanti cercavano di  vendere un mazzo di fiori di plastica al primo cooperante dimenticato dall’autista e obbligato ad attendere la sua auto, nel parcheggio, imprecando in tutte le lingue; mentre un ragazzino trasportava su carretto un frigorifero marcio; mentre dodici taxi, anch’essi marci almeno quanto il frigorifero, occupavano la carreggiata trasversalmente; mentre le macchine delle ONG riempivano il parcheggio del supermercato, altrimenti deserto.
Dodici giorni a Natale.
Qui però non ci sono le lucine, qui non c’è la neve e qui non c’è niente del Natale che io conosco. Niente di quel  Natale che sa di cibo, cene, famiglia amici ma anche di ansie, code ai negozi, biglietti d’auguri tutti uguali e messaggi di testo riciclati dall’anno precedente.
Qui potrebbe essere il 10 luglio e sarebbe lo stesso, noi faremmo le stesse cose.
Chi è qui da molto tempo torna  a casa, chi come me è arrivato da poco resta.
Eppure tutti noi sappiamo che tra 10 giorni sarà Natale e che noi siamo lontani, tanto lontani da tutti.
Organizzeremo una festa che assomiglierà più ad una festa da studenti universitari che ad una cena della Vigilia: ci scambieremo gli auguri a modo nostro e sarà difficile non chiedersi se è davvero il 25 dicembre.
Inizieremo a cenare alle 18 perché alle 20 c’è il coprifuoco e dunque nessuno spostamento sarà ammesso dopo quell’ora; oppure ci presenteremo alla festa con sottobraccio un materasso gonfiabile e alle prime ore del mattino la casa che ha ospitato la festa assomiglierà ad un campeggio e il pavimento sarà una distesa di materassi, uno accanto all’altro, con almeno 2 persone per materasso.
Senza gas, cucineremo sul carbone la pasta che abbiamo pagato 4 euro al kg al supermercato di cui sopra. E ci sembrerà buonissima. Addobberemo le palme del nostro giardino e ci sembreranno più belle che gli abeti a cui siamo abituati. Andremmo a letto alle 22 e ci sembrerà mezzanotte.
O forse no, la pasta non ci sembrerò buonissima, le palme saranno palme e le 22 saranno le 22. Non lo so, non posso saperlo. E’ il primo Natale che trascorro in Africa come cooperante.
Però di una cosa sono sicura: sono certa che quest’anno chiederò a Babbo Natale qualcosa di diverso.
Gli chiederò di far tacere per una notte gli elicotteri.
Ma non imbucherò la letterina perché qui la posta non esiste più. La guerra se l’è portata via.
Anche  quella.

 

Daniela Capoferri, Classe ’88, antropologa di formazione, provo a raccontare il bene per passione. Seguo la comunicazione in Centrafrica per l’organizzazione umanitaria Coopi e faccio parte di quelli che non smettono di crederci.
Amo l’africa e gli gnocchi al pesto, in egual misura, ma di solito quando ho l’uno non ho l’altro.