Testo e foto di Letizia Sgalambro

Questa retrospettiva permette un’immersione totale nell’universo di uno dei più grandi artisti di strada di tutti i tempi: Shepard Fairey, meglio conosciuto dal grande pubblico con il nome di Obey.

È ospitata a Lione nell’ex Museo di storia naturale, il Musée Giumet, in uno spazio enorme che sembra abbandonato a se stesso, ma forse proprio per questo motivo pieno di fascino. La mostra raccoglie più di 1000 opere, film e oggetti offrendo una visione globale del lavoro dello street artist, dalla creazione del suo primo adesivo nel 1989 fino ai suoi ultimi pezzi presentando tutte le tecniche utilizzate dall’artista.

1001 opere, con alcuni immagini che si ripetono, per dare più forza al messaggio. Le sue denunce sono sempre grafiche: grandi manifesti, serigrafie, skateboard, vinili, copertine di dischi, adesivi… immagini che tutti possono condividere per allargare la platea perché è convinto che solo unendosi avverrà il vero cambiamento per la sopravvivenza del nostro pianeta.

I temi che più gli stanno a cuore e che esplora denunciandoli con più forza sono il razzismo, la distruzione dell’ambiente, i diritti delle minoranze, le ingiustizie, il potere delle lobby.

Ma Shepard Fairey, oltre a criticare, propone alternative e individua anche alcuni punti di riferimento per i quali si impegna in prima persona: dal suo mentore Noam Chomsky a Barak Obama, per cui curerà la campagna per l’elezione del 2009 creandone il poster ufficiale.

Da quel momento la notorietà di Shepard ha raggiunto un nuovo livello. 

Questa occasione gli farà infatti aumentare il suo potere di persuasione e il ruolo di portavoce delle cause che difende.

Diventando autonomo nella produzione delle sue opere e nella loro distribuzione, l’artista diventa un media a sé stante. Questo media indipendente diventa molto difficile da censurare, soprattutto quando acquisisce lo status di star internazionale del più grande movimento artistico del XXI secolo. Può quindi proseguire il suo lavoro di attivista in un modo molto più efficiente poiché ora è invitato a farlo.

Shepard Fairey vuole far incontrare le sue opere – più o meno politiche – al maggior numero di persone. Questo incontro mira a far riflettere ciascuno di noi sul significato delle immagini, sul loro posto nello spazio pubblico, così come sull’approccio dell’artista.

La realizzazione di un’icona pittorica, il significato associato e la sua diffusione sono le chiavi della comunicazione dei grandi brand. Laddove – ad esempio – il marchio Nike riesce a rivolgere il proprio logo e i propri “valori” a una vasta comunità di persone molto diverse tra loro, Shepard Fairey prova a mostrare a tutti la sua icona puntando per farci riflettere sul nostro status di bersagli di pubblicità consumistica o politica.

Ed è grazie alla tecnica del concetto di propaganda che raggiunge i suoi obiettivi.

Strategicamente, progetta le sue immagini per stimolare una reazione nel pubblico. L’impatto visivo che tutti subiamo con la pubblicità trova nelle sue opere un alter ego liberatorio che non vende altro che un invito a pensare. 

Dal piccolo adesivo agli affreschi monumentali e al collage selvaggio, Shepard Fairey propone due livelli di riflessione. Il primo è l’incontro con la sua opera, il suo riconoscimento grafico, per assimilarne i codici.  Il secondo, una volta riconoscibili al primo sguardo le sue opere, si rivolge all’individuo e alle sue convinzioni, invitandolo a riflettere sul significato del messaggio visivo proposto. Ogni volta, l’artista spiega il suo scopo in modo che lo si possa capire senza equivoci, e poi posizionarsi, riflettere, scambiare opinioni sul tema proposto.

La mostra 1001 Reasons to (dis)OBEY – The art of Shepard Fairey è visitabile fino al 9 Luglio 2023 al Musée Guimet a Lione.