Ad Amsterdam l’ondata di visitatori che affollano la grande mostra di Vermeer non accenna a placarsi. E la star rimane quel celebre, piccolo dipinto del pittore olandese. Eppure solo pochi anni prima, era possibile incontrarsi da soli con lei. Una nostra cronista ha avuto questa fortuna…

Vermeer exhibition. Photo Rijksmuseum/ Henk Wildschut

Testo di Susanna Cressati

Foto: Rijksmuseum/ Henk Wildschut (cortesia Press Office)

Per gran parte della sua “vita” la ragazza con l’orecchino di perla ha goduto di un sottile privilegio (forse dubbio per un’opera d’arte): quello di essere circondata, così come il suo enigmatico autore Johannes Vermeer, dalla discreta ammirazione di un pubblico ristretto. Questa situazione si è ribaltata in una clamorosa notorietà mediatica grazie al libro che alla sua figura dedicò nel 1999 la narratrice statunitense Tracy Chevalier e in seguito, forse ancora di più, al film del 2003 diretto da Peter Webber. Da allora intorno alla ragazza e al suo autore è stata tutta una escalation di venerazione che con la mostra allestita al Rijksmuseum di Amsterdam sembra aver ora raggiunto sfumature di popolare idolatria, come ha raccontato efficacemente proprio su queste pagine Lucia Zambelli.

Tuttavia, come si è detto, c’è stato un tempo in cui per contemplare questo viso liscio, questo turbante giallo-azzurro e questa perla che illumina l’intero ritratto bastava entrare, senza nessuna prenotazione né coda né bagarinaggio, in un piccolo, riservato museo olandese, il Mauritshuis dell’Aia, per godersi la ragazza e altri dipinti di Vermeer in completa solitudine.

E’ quello che mi è capitato non ricordo bene se alla fine del 1999 o all’inizio del 2000, di certo ancora la “ragazzaconl’orecchinodiperla-mania” non era ancora scoppiata. Ero all’Aia per puro caso, per accompagnare mio marito impegnato in un incontro di lavoro. Non mi ero preparata al brevissimo viaggio, non avevo programmi ed ero sola per la maggior parte del tempo. Niente di meglio di un museo, pensai, per passare qualche ora.

Così ho varcato la soglia di un palazzo signorile ma dall’aria un po’ vecchiotta (ho scoperto ora che il Mauritshuis è stato completamente ristrutturato ed ampliato), ho comprato il biglietto alla cassa dell’ingresso e ho salito i gradini, un po’ scricchiolanti e vagamente polverosi, di un breve e ampio scalone di legno. Mi sono trovata davanti alcune sale in cui, con i criteri più adatti a una collezione privata che a un museo vero e proprio, erano esposti quadri più o meno di valore, un po’ alla rinfusa. Poi Vermeer. Beh, certo fu una bella rivelazione, i dipinti del maestro spiccavano tra gli altri per originalità e qualità. C’era la ragazza con la sua bocca invitante, che mi guardava girando leggermente la testa, e c’era anche un paesaggio che mi piacque particolarmente: raffigurava una città vista dall’altra parte di un canale su cui si specchiano le mura, una porta con l’orologio, torri e campanili. In primo piano una lingua di sabbia dorata, su cui spiccano minuscole figure di passanti, in lontananza un cielo di nuvole bianco-grige. Era “Venuta di Delft” e ne acquistai una riproduzione che ho poi messo in cornice e appesa in casa, in uno dei posti “d’onore”. Ho saputo più tardi che questa veduta fu definita “il quadro più bello del mondo” da un giovanissimo Marcel Proust, che in seguito rese tutta l’emozione del suo primo incontro con Vermeer nell’episodio della morte di Bergotte, personaggio della Recherche, che proprio davanti alla Veduta di Delft termina di vivere.

View of Delft, Johannes Vermeer, 1660-61, oil on canvas. Mauritshuis, The Hague

Per tutto il tempo in cui sono stata nel museo non si è visto nessun altro visitatore. E notai anche, il giorno successivo, che pochi si soffermavano davanti ad altre due tele del maestro esposte al Rijksmuseum di Amsterdam, la Lattaia e Stradina di Delft, mentre la maggior parte dei visitatori si accalcava di fronte alla celeberrima Ronda di notte di Rembrandt, allora appena sistemata nella sua attuale, scenografica posizione.

Indimenticabile dunque per me il privilegiato, solitario incontro con la ragazza. Chissà che, una volta spenti i riflettori della mostra di Amsterdam, non ridiventi possibile (entro certi limiti) replicare una visita riservata e discreta a questo capolavoro.