foto e testo di Dario Lo Presti

Le vicende delle miniere di zolfo rappresentano per la Sicilia un momento storico dai risvolti agrodolci. Uno dei luoghi simbolo di questa pagina di storia fatta di sofferenze e fatiche è rappresentato dalla miniera di Floristella, un’importante area archeologia e industriale, diventata nel 1991 il “Parco minerario Floristella-Grottacalda”, che assieme agli altri impianti di estrazione dello zolfo ha permesso alla Sicilia di diventare il primo esportatore mondiale di zolfo per circa un secolo. La miniera è situata tra i comuni di Enna, Valguarnera, Aidone e Piazza Armerina e conserva ancora oggi i segni di quegli anni e delle fatiche ben visibili nelle strutture che ormai sono dismesse e abbandonate.

Negli ultimi decenni dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, l’attività delle miniere ha permesso una ripresa dell’economia dell’entroterra siciliano comportando però al tempo stesso uno sfruttamento selvaggio della manodopera. Questo contesto è descritto molto bene da Pirandello nella novella  “Il Fumo”:

Ci ammazziamo a scavarlo [lo zolfo], poi lo trasportiamo già alle marine, dove tanti vapori inglesi, americani, tedeschi, francesi, perfino greci, stanno pronti con le stive aperte come tante bocche ad ingoiarselo: ci tirano una bella fischiata e addio! … E la ricchezza nostra intanto, quelle che dovrebbe essere la ricchezza nostra, se ne va via così dalle vene delle nostre montagne sventrate, e noi rimaniamo qui come tanti allocchi, con le ossa rotte dalla fatica e le nostre tasche vuote. Unico guadagno: le nostre campagne bruciate dal fumo.

Nelle miniere i metodi di estrazione delle zolfo erano alquanto primitivi perché i proprietari e i gabelloti (che gestivano i singoli giacimenti) preferivano il profitto immediato all’investimento per il futuro. La commercializzazione veniva gestita da operatori stranieri, soprattutto inglesi, che assicuravano il pagamento anticipato sulle consegne. Il minerale estratto allo stato grezzo veniva trasportato nei porti di Licata, Catania e Porto Empedocle che a loro volta lo inviavano all’estero in paesi come l’Inghilterra e la Francia. In questo modo di fatto venivano accontentati un po’ tutti: dai proprietari ai gabelloti sino ad arrivare agli operatori commerciali che agivano sul mercato estero. Tutto questo ha generato una cultura della rapina e il fenomeno dello sfruttamento indiscriminato nei confronti degli operai e soprattutto dei  carusi, bambini venduti dalle famiglie povere ai picconieri, che in cambio versavano il “soccorso morto” (detto così perché non comportava interessi), che consisteva nel restituire alle famiglie una quota in cambio dell’utilizzo del bambino per un determinato numero di anni. Ciò avveniva fin quando il caruso non era in grado di estinguere il debito con il proprio lavoro. Questo legame andava ben al di là del rapporto di lavoro tra i due. Infatti era un modo per creare sudditanza morale del caruso nei confronti del picconiere.

Vittorio Savorini, in una sua inchiesta sulle condizioni dei lavoratori nelle zolfare siciliane, descrive bene quanto appena detto:

È a causa di questo preesistente debito che il caruso non riceverà altro che acconti e quel che è peggio quasi sempre in natura, che sono tra gli zolfatai chiamati “spesa”, e consistono in forniture di grano, in olio e spesso in solo pane. Dal lavoro in miniera, il caruso resterà segnato per tutta la vita. Oltre a subire innumerevoli abusi sessuali e violenze di ogni tipo, lo schiavo caruso comincia a patire di malattie agli occhi, di rachitismo e deviazioni della colonna vertebrale.

La miniera di Floristella e tutte le altre ormai chiuse da alcuni decenni nel territorio siciliano fanno parte di un mondo arcaico che appartiene di diritto alla cultura siciliana. Sull’Ente Parco di Floristella si prevedono delle iniziative di recupero e valorizzazione di tutta l’area (dal restauro del Palazzo Pennisi, al ripristino dell’antica ferrovia Floristella-Grottacalda), la cui finalità è quella di realizzare un vero e proprio polo di attrazione culturale e turistica attorno a una delle zolfatare più grandi della Sicilia. L’obiettivo più importante è quello di far rivivere un luogo che racchiude tutti i segni d’u veru nfernu della solfatara, che ha rappresentato per molti siciliani il sogno di una ricchezza facile, ma che è giusto ricordare come simbolo di lotte, amarezze e schiavitù.

 

Dario Lo Presti è nato nel 1983 a Catania, dove vive. Freelance e collaboratore di diverse agenzie, ha fatto parte del Collettivo Scatto Sociale e ha esposto in Sicilia e a Sidney. Tra gli ultimi lavori, un progetto fotografico sull’etnia tamil mauriziana che risiede a Catania e “One Day Fiction”, sponsorizzato dall’ambasciata italiana in Sudan, in collaborazione con la scrittrice araba Sabah Sanhouri.