Testo e foto di Marco Turini

Camminare sull’Etna è come calpestare il suolo di un altro pianeta. Idda, la montagna-divinità a cui sono stati offerti statuette votive e preghiere invocando la salvezza dalla sua furia devastatrice. “Finché fuma è tranquilla” mi racconta la signora dell’affittacamere la sera prima dell’escursione. Come una vecchia brontolona che ha modo di sfogarsi in tanto in tanto così anche il vulcano in attività costante ha meno possibilità di eruttare in maniera dirompente e lanciare in aria i suoi terribili lapilli (“le bombe” sono chiamate qua). Immaginate un tappo che viene posto sopra una pentola a pressione e che esplode per il troppo calore. Pensate al potere concentrato di centinaia di bombe atomiche come quella lanciata su Hiroshima sprigionarsi dalla terra incandescente. Questo normalmente avviene quando un vulcano rimane (apparentemente) inattivo per lungo tempo. Questo è successo durante una delle sue più terribili eruzioni attestate storicamente, quella del 1669, che distrusse e seppellì sotto una coltre di lava e cenere decine di centri abitati fino a lambire il mare e la  città di Catania.

Ma le eruzioni dell’Etna sono state così tante fin dall’antichità che è impossibile menzionarle tutte. A partire dalla seconda metà degli anni settanta del ‘900  la frequenza delle eruzioni, è aumentata in maniera esponenziale. Così la sensazione di timore e di rispetto verso questa potente signora cresce salendo le sue pendici. Il paesaggio si trasforma man mano che ci avviciniamo ai crateri sommitali. Persino gli arbusti e la flora che si affacciano timide sulla roccia nera piano piano lasciano spazio ad uno scenario apocalittico dove solo poche specie animali si avventurano in maniera sporadica. Stiamo parlando di lucertole, serpenti, rapaci e qualche raro roditore. Ad un’unica specie qui la vita sembra negata in maniera naturale: l’uomo.

L’uomo sull’Etna non può vivere nè costruire, come la triste scia di macerie e anime sepolte nel tempo ormai testimonia. Non si contano i paesi distrutti e spostati assieme alla popolazione in luoghi più sicuri.  Eppure oggi la montagna sostiene economicamente migliaia di siciliani che lavorano nel settore turistico. L’indiscreta funivia che d’inverno deposita orde di sciatori sulle pendici innevate è già stata distrutta diverse volte così come i rifugi ed i bivacchi delle guide.

L’uomo qui può solo camminare, ascoltare, guardare, persino odorare. I cinque sensi ci aiutano ad orientarci su questo mondo extraterrestre. La fumata nera o bianca del vulcano può predire distruzione o la pace. L’odore della ginestra dell’Etna (Genista aetnensis) ci accompagna fino ai 2400 metri circa, un limite invisibile che conviene saper osservare. Oltre neanche le piante riescono a sopravvivere. È il regno su cui nessuno essere vivente può osare di più. Affondo la mano nel terreno fumante e sento il calore insostenibile sprigionarsi dal suolo anche se mi trovo molto lontano dai crateri più alti. Da una delle bocche lontane fuoriesce un continuo flusso di fumo e polvere scura che più tardi si depositerà sui tetti delle case a centinaia di kilometri.

Stupisce sapere che il paesaggio sui cui camminiamo è in continua trasformazione. La spettacolare valle del Bove su cui mi affaccio da un versante è una distesa nera che si estende fino all’orizzonte. Nessuna abitazione o albero vi si poggerà più. Tuttavia fra qualche anno o pochi mesi questo paesaggio cambierà ancora.

È vivo il pianeta nero, più che mai. Il suo respiro portato dal vento si confonde con quello degli escursionisti che lo attraversano, misura il passo delle nostre esistenze. E ci ricorda che siamo solo ospiti su questa Terra.


Per escursioni sulla cima dell’Etna si raccomanda l’accompagnamento di una guida escursionistica esperta. Per saperne di più