ottava e inattesa puntata del viaggio nello storico quartiere di Bologna al di là del ponte della ferrovia

racconta e fotografa Paolo Muran

 

Oggi sono andato a salutare Serafini.
Si dice così quando si va al funerale di qualcuno.
Se ne è andato in fretta: male alle gambe per alcuni giorni, ricovero, diagnosi nefasta, 15 giorni ancora e poi via.
Il cecchino non sbaglia un colpo.
Serafini non era un amico intimo, però era uno che c’era sempre stato nel quartiere dove sono nato e dove ho trascorso l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza e parte della maturità e dove sono tornato da qualche anno.
Serafini invece sempre li, alla Bolognina con il suo sorriso fatto più con gli occhi che con la bocca, con la sua capigliatura da attore degli anni ’50 , da modello con acconciatura per la foto da appendere nelle botteghe da barbiere
Sì, era un bell’uomo Serafini, anche adesso che tirava già oltre i 70.
Lo incontravo di tanto in tanto al bar o in qualche bottega del quartiere e immediatamente scattava il sorriso come saluto e le solite battute ripetute per anni.

”Va là Serafini che stai bene alla Weber!”

“Va là Paolo, che te hai visto un bel mondo!”

Più o meno ci si salutava cosi, penso per esprimerci la contentezza di vederci ancora al mondo. Fossimo stati due cani, io e Serafini, avremmo scodinzolato, ci saremmo annusati un pochino… e poi ognuno via, per la sua strada.
Da quando sono tornato mi capitava di incontrarlo soprattutto al mercatino delle verdure sempre a braccetto con la moglie: si vedeva che l’apprezzava e che era molto orgoglioso di lei. Non so nulla sul loro rapporto, ma sono cose che si vedono a occhio nudo e che a me mettono un certo ottimismo.

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“Bella la vita da pensionato, eh Serafini! Drizza mo l’Italia, con tutti questi pensionati da mantenere!”
“Se l’Italia si deve drizzare perché ci pensi te Paolo, siamo messi mica tanto bene!”
Siamo invecchiati io e Serafini, ma le battute più o meno erano rimaste quelle, e anche il sorriso con gli occhi!
Sono andato al funerale perché non voglio che ‘muoia anche la morte’.
Adesso in città si muore in ospedale e ci si sbarazza del corpo velocemente.
Davanti alla chiesa un miscuglio di gente conosciuta e sconosciuta per un ultimo saluto, per una presenza, per una parola ai famigliari.
Lo strazio della moglie e la figlia per la perdita improvvisa con i loro volti pieni di paura.
Il prete che benedice con l’acqua e l’incenso durante la breve funzione e la foto di Serafini sulla bara tra i gladioli della corona. Anche lì sorride con gli occhi e la riga dei capelli è ben fatta.

Non lo incontrerò più Serafini. Mi dispiace? Beh, certo un po’, ma sono altri che vivono il dramma. Io farò finta che non mi capita di incontrarlo, come è da un po’ che non incontro Silvio con il suo naso rosso da avvinazzato, Poluzzi che faceva il muratore ma sembrava un lord inglese, Abate che ti faceva ridere anche se leggeva l’elenco del telefono. Ma poi è anche da un po’ che non vedo le pozzanghere nel cortile, gli alberi di acacia, i teloni grigi che coprivano le auto per proteggerle e i bambini con la crosta nel ginocchio.
Vabbè Serafini, a parte che la Weber c’è ancora, perché se non è fallita quando lavoravi lì tu è impossibile che fallisca adesso… speriamo che abbia ragione il prete che dice che ci ritroveremo tutti, mettiamola così dai.

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