testo e foto di Chiara Grimoldi
Centro sud della Mongolia, tra Ongil e la provincia del sud Gobi.
Sono persone molto ospitali, gli ultimi nomadi che si ostinano a vivere di pastorizia in un paese dove la globalizzazione sta avanzando velocemente. La capitale, Ulan Bator, si è formata in 10 anni con più di 2 milioni di nomadi e contadini scappati dalle campagne.
Quelli rimasti non sono considerati tanto bene, sono gli ultimi nella scala sociale. Ma sono autosufficienti: hanno pannelli solari per la corrente elettrica e chiedono solo di vivere liberi.
Ci hanno ospitati nella loro Gher e dopo i convenevoli dell’ospitalità con tazze di latte fermentato alcolico e yogurt essiccato al sole ci hanno fatto girare nella loro proprietà. Abbiamo lasciato come sempre in questi casi matite e quaderni per i bambini che vanno a scuola nei villaggi più vicini, anche 60 km di distanza, grazie a un servizio statale che li va a prendere.
Qui si vive in più tende con tutta la famiglia e ci si prende a carico tutto il parentado; quando ci sono lavori che richiedono forza si chiamano in aiuto altri, perché, dice un antico proverbio ‘Due amici sono più forti dei muri di pietra’.
Si mangiano carne e latte, nessuna frutta, poche verdure. Nei supermercati dei villaggi ci sono invece tre pareti di roba americana: patatine, merendine, cioccolati e vedi i bimbi per strada che si nutrono solo di quello.
Gli ultimi nomadi non hanno ancora subito il fascino della tecnologia e lavorano senza rasoi elettrici, come cento anni fa da noi.
Pensano che in fondo una capra ha la stessa voglia di vivere di un uomo.
Chiara Grimoldi è nata a Berna 61 anni fa. Si è formata con Ando Gilardi sul tema delle immagini sociali. Non ha mai voluto fare foto perfette e panoramiche: il suo interesse è sempre stato per il recupero della storia delle persone, nel tentativo di lasciare un’impronta importante e scuotere gli animi. Almeno per tre secondi.