Testo e foto di Luisa Fazzini

Esiste un margine di indefinito nel nostro rapporto con gli studenti. Un margine entro in cui buttare immagini e parole. Un margine in cui abbandonare la rigidità prescrittiva di piani di insegnamento, per quanto innovativi, e in cui creare spazio per il caos primigenio del sentire.
La mia “conversione” alla geografia nasce dall’attivazione casuale di questo processo, innescato negli anni più che dai libri scolastici, dagli incontri, dalle letture libere, dai viaggi, dalle riflessioni.

La mia soggettività si è staccata dal sapere istituzionale, pur conservandone la memoria, e ha trovato attraverso l’amore per la parola, derivato dalla mia formazione umanistica, la sua strada di senso. Una strada accidentata, impervia, con ostacoli, cadute e deviazioni. Ma magnifica. Colma di panorami improvvisi che si aprono dall’alto e ti tolgono il fiato.

Il margine di indefinito nel mio rapporto con gli studenti è uno spazio sacro. Quello in cui cedo il passo e lascio andare chi ho accompagnato fin qui, lo lascio andare nell’incertezza del controllo e nella certezza del risultato. Un margine che contiene il confuso, in cui butto e non controllo. E aspetto. Aspetto la meraviglia.

Bisogna aver cura della meraviglia. É energia che avvolge e che illumina significati per cui non troviamo parole immediate. É energia sovversiva che rompe lo sguardo quotidiano e rivela nuovi orizzonti da interpretare. Ciò che meraviglia ci riporta alla consapevolezza di essere soggetti che percepiscono. Il processo della conoscenza senza la meraviglia è un immagazzinamento privo di sentire individuale. E se non “sento” il mio sapere, di conseguenza non lo penso, non lo rielaboro, non lo rendo a mia misura. Il sapere non diventa visione, ma resta oggetto utilitaristico da sfruttare al bisogno perché il sapere non è in me, ma solo appoggiato sopra di me, destinato a scivolare via.

La meraviglia non si insegna e non si studia. Di meraviglia si fa esperienza fisica. Un’esperienza unica e individuale. Scrive Josè Saramago: “Il bambino che sono stato non vide il paesaggio come sarebbe tentato di immaginarlo, dalla sua altezza d’uomo, l’adulto che è diventato. Il bambino, nel tempo in cui lo fu, stava semplicemente nel paesaggio, non lo interrogava, non diceva né pensava, con queste o con altre parole: “Che bel paesaggio, che magnifico panorama, che stupendo punto di osservazione!”.
E Massimo Recalcati: “(…) dove c’è una pratica soggettivata, c’è sempre sforzo di poesia”.
Costruire quindi in classe esperienze geografiche emotive. Le immagini, il cui potere inclusivo trasforma il gruppo di studenti in una comunità viaggiante, creano il palcoscenico di un paesaggio teatro in cui, come diceva Eugenio Turri, si è attori e spettatori. L’immersione genera un sentimento percettivo che pone in relazione il soggetto con l’oggetto in una dimensione che il lessico disciplinare scientifico non riesce a declinare. Serve la forza interpretativa del linguaggio letterario capace di attraversare, decodificare e restituire. La prima percezione geografica è poetica. Nell’istante del contatto di realizza la connessione con il Tutto in cui noi troviamo il senso dell’essere partecipi.

In questo spazio sacro dal margine indefinito in cui buttiamo immagini e parole per generare esperienze geografiche emotive individuali noi, docenti e studenti, troviamo la meraviglia.
“Geografica. La didattica della meraviglia” compie due anni con articoli diversi, accomunati da quello che affascina gli autori dei singoli pezzi. Tante voci diverse per un’unica disciplina. Quest’anno con meno pezzi al mese per un maggior tempo di riflessione, con un solo workshop e nessun live per tornare a dare valore alla presenza. E stiamo pensando all’autunno.
Durante l’estate “Geografica” vi invita a leggere o rileggere tra i suoi articoli quelli che vi ispirano curiosità e vi invita a prendere in mano uno dei tanti numeri di Erodoto 108 per riconoscere alla rivista cartacea lo sforzo costante di descrivere un approccio geografico che vive di quel un margine indefinito di meraviglia che ci serve nella nostra professione. Buone vacanze.